Ricordate
quando c'era la DC? Succedevano le stesse cose che accadono oggi.
Fuori dal governo, che sembra essere protetto da una campana di vetro
sottovuoto, si scatena l'ira diddio. A quei tempi andava di moda il
pentapartito, una formula che per qualche anno funzionò perché i
partiti che lo componevano erano rappresentati spesso anche
all'interno della Balena Bianca, forza di maggioranza e opposizione
contemporaneamente, un miracolo di bizantinismi all'ennesima potenza.
Sui giornali dilagavano le polemiche (sempre comunque dentro i giusti toni
della incomprensibile dialettica politica), fra i repubblicani e i
socialdemocratici, i socialisti e i liberali, mentre la DC, saldamente
al potere, osservava sorniona tutto il putiferio mediatico che le
accadeva intorno. LettaLetta sembra ripercorrere esattamente la
strada che fu di Rumor e di Andreotti, del corregionale Fanfani e di
Arnaldo Forlani, tutti statue di sale che nessun vento smuoveva e
nessun temporale scioglieva. Così, oggi, “Renzie” (la rubo a
Beppe Grillo) può permettersi di mettere il peperoncino nel didietro
del governo; Brunetta, di minacciare al primo soffio di vento,
l'uscita dalla maggioranza; Veltroni, che ha perso tutte le elezioni,
di fare l'ideologo del rinnovamento della sinistra; D'Alema, in cerca
di un posto di lavoro, di sfasciare tutto quello che gli capita a
tiro; Galan, miracolato, di invocare i matrimoni gay facendo dar di
matto a Gasparri; la Santanchè, di guidare il Pdl tentando in tutti
i modi di far secco o' segretario Schiattamuort, e via dicendo,
fino agli show degli eterodossi Barca, Civati, la Finocchiaro, che se
potesse impiccare Renzie lo farebbe e che sta sempre più incazzata,
Bondi, Bersani, Marchini, i dissidenti dei 5S, la “merda” lombardiana della
spia grillina, lo stesso Rodotà diventato improvvisamente un nemico pubblico
ottantenne rincoglionito miracolato dal web, e la signora
Gabanelli, nota stipendiata in Rai dal PD. A fronte di tanto casino, che in questo momento sta proponendo il più imponente
riposizionamento politico nella storia d'Italia, qualcuno di voi ha
visto muoversi una palpebra di LettaLetta? Il presidente del
consiglio è lì. Immoto. Una sfinge. Non si scompone manco se uno
gli da del “nipote a vita”. Un muro di gomma. Una statua di cera
del museo di Madame Tussauds. “Dite, fate, agitatevi – dice
Enrichetto – tanto al resto, penso io”. Ma a parte i pidini, che
per un posto al sole venderebbero la mamma, chi sta rischiando
seriamente di sottoporre i suoi militanti e simpatizzanti alle cure
perpetue di un analista, è Beppe Grillo. Il M5S è arrivato
all'assurdo che i parlamentari vengono convocati in assemblea per
discutere le posizioni del Capo. Grillo sul suo blog scrive, e a Roma,
deputati e senatori, dopo che Beppe ha scritto, si riuniscono per
decidere se va bene oppure no. Ma non potrebbero concordare una
posizione comune prima? Anche perché se uno prova a dire di essere
in disaccordo con il Capo, si becca come minimo un vaffanculo colossale.
Scaricato Rodotà, che signorilmente non risponde, scaricata Milena
Gabanelli, che continua a preferire il suo lavoro, dato dei morti e
degli affamatori a tutti, seguendo un copione che inizia francamente
a stancare, Beppe sta cercando di serrare le fila del suo Movimento
con le minacce, una prassi che, come tutti sanno, premia nel breve
termine ma che, a lungo andare, provoca sconquassi. Eppure Beppe
parte da posizioni sacrosante. A lui non manca la capacità di
analisi, è la sintesi a essere completamente assente, cosa che gli
fa combinare disastri uno dopo l'altro. Compreso l'aver adottato
quello strano figuro che imperversa su tutte le reti televisive, e
che da molti viene indicato come l'ideologo del M5S. Stiamo parlando
proprio di lui, dell'emerito professor Paolo Becchi, filosofo del
culo, che alla Zanzara di Radio24 ha detto: “In Italia non puoi
guardare il culo a una ragazza, che ti accusano di femminicidio. Eh
sì – ha proseguito Becchi allupatissimo – ti accusano di
femminicidio perché ti sei fatto chissà quali idee e invece ti
piace proprio il culo. Capita a tutti di vedere il sedere delle
signorine, non faccio niente di male”. Così parlò l'ideologo.
Onestamente, alle sue argomentazioni sul culo (senza peraltro nessuna
base né estetica né erotica), continuiamo a preferire
quelle di Tinto Brass, l'unico vero filosofo del fondoschiena che
l'Italia abbia mai avuto.
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venerdì 31 maggio 2013
giovedì 30 maggio 2013
Nel PD continua l'eterno gioco delle parti: Renzi prova lo sgambetto. Nella Lega invece Bossi dice a Bobo: “Fatti più in là... oh ohoh”
Calma
signori, calma. Il fatto che la UE ci abbia tolto dal girone dei
dannati, non implica stappare per forza lo champagne e fare festa.
Perché ormai da parecchio tempo, la UE non fa regali all'Italia,
diciamo da quando Silvio ha iniziato a dar di testa fra “kapò” e
“culone inchiavabili”: questione di stile. Non si può brindare
perché, se è vero che si potrà sbloccare qualche miliardo per far
ripartire micro-cantieri e parecchie altre attività e servizi, è
anche vero che la UE ha posto il vincolo della tenuta sotto controllo
dei conti. Saccomanni è stato chiaro: “Abbiamo raggiunto un ottimo
risultato, ma non è detto che l'IVA non aumenti”. Come si può
facilmente immaginare, l'aumento dell'IVA è un altro macigno sulla
strada della ripresa dei consumi, e il sentirsi ancora sotto tutela,
più che una sensazione è un dato di fatto certificato. LettaLetta
ha ringraziato pubblicamente Mario Monti e tutti gli italiani per
l'uscita dalla procedura d'infrazione della UE, denotando un
ottimismo che da un po' non aleggiava sui cieli italioti. E siccome
il PD sembra un partito fatto apposta per non godere neppure un
attimo di fatti positivi, ecco che Renzi, preoccupatissimo che il
governo del suo amicone e corregionale Enrichetto possa durare a
lungo, ha iniziato (tramite terzi) a mettere ostacoli sul cammino del
nipote per antonomasia. Giustissima nella sostanza, improvvida nella
forma politica, la proposta di legge tendente a riesumare il
Mattarellum, fatta dall'onorevole renziano Roberto Giachetti,
ha spaccato ancora una volta il PD. La mozione, che arriva dopo un
lavoro di fino fatto dai rappresentati del PD e del Pdl per trovare
un accordo su una nuova legge elettorale, ha agitato di brutto le
acque governative. Il Pdl, se qualcuno non lo avesse ancora capito,
punta decisamente al mantenimento del Porcellum. Berlusconi è
convinto da sempre che le votazioni siano una specie di “o la va o
la spacca”, per cui chi vince prende il piatto (come a poker) e chi
perde sta quattro anni in panchina. E la convinzione di Silvio si è
fatta ancora più forte dopo le ultime elezioni che, pur avendole
perse, gli hanno comunque regalato un ruolo che mai si sarebbe
aspettato, quello dello strizzatore di palle altrui, dopo che per
anni le Olgettine le hanno strizzate a lui. Che l'ispiratore della
proposta Giachetti (appoggiata da Sel, dal M5S e da una piccola parte
del PD), sia proprio il sindaco di Firenze, lo fanno capire le
dichiarazioni rilasciate ieri da Renzi, subito dopo il diniego di
Giachetti all'invito di ritirare la mozione. Matteo ha detto: “Ho
una preoccupazione. Che il governo e la maggioranza rinviino troppo,
giochino di rimessa, facciano melina. Non vorrei che il governo delle
larghe intese diventasse il governo delle lunghe attese... decidano
perché con il Porcellum non si va da nessuna parte”. Poi, Matteo
ha aggiunto: “I democristiani erano persone serie, ma una parte di
liturgia democristiana in questo governo, è un tantino eccessiva.
Ora diamoci una mossa”. Inutile dire che dopo la dichiarazione di
Renzi, c'è stato un fitto scambio di sms tra lui e LettaLetta, nei
quali il premier scriveva a Renzi di darsi una calmata e Renzi gli
ribadiva di muovere il culo. Voci malevole dicono che gli sms siano
stati inviati anche a Silvio per conoscenza, ma di ciò non si hanno
prove certe. La cosa buffa, perché con Brunetta capogruppo alla
Camera di cose buffe ne accadono parecchie, è stata che Renatino
subito dopo la presentazione della mozione Giachetti, ha rilasciato
una dichiarazione nella quale diceva: “La proposta di tal onorevole
Giachetti è eversiva”. Tralasciando il cuneo di penetrazione della
lingua italiana in Brunetta, bisognerebbe far notare all'onorevolino
che di eversivo, finora, ci sono state solo le due proposte di legge
del senatore Luigi Compagna e del senatore Francesco Nitto Palma, la
prima pro-Dell'Utri, la seconda pro-Silvio. Il resto è solo uno
stato di democristiana ordinarietà. Mamma mia la Lega! Non se ne
parla più. È implosa. Vittima delle tante anime e delle corna
vichinghe bandite a Pontida. Bossi, all'indomani delle ultime
amministrative, è sbottato: “Maroni faccia un passo indietro –
ha detto il Senatur – vuole fare tutto lui, il segretario, il
governatore della Lombardia, i comizi, l'esperto di pietre preziose,
il portiere di via Bellerio, l'autista di Berlusconi. E che cazzo,
ceda qualcosa anche agli altri”. Umbertino da Giussano ha poi
aggiunto: “Quando c'ero io la Lega era unita, ora non si capisce
più una mazza. Il Trota è spaesato e ha iniziato a tifare per
l'Italia, questo non posso sopportarlo”. Ridotta a prefisso
telefonico, la Lega ha perso in tutte le città che governava e sta
aspettando con ansia la prossima fornitura di bistecche d'orso per un
barbecue riconciliatore. Sui risultati delle elezioni amministrative,
l'analisi di Beppe Grillo sul suo blog, è correttissima. I numeri
dimostrano in maniera inequivocabile il declino dei partiti. Tutti,
dal 2008 a oggi, hanno perso un fottio di voti e l'emorragia non è
destinata a fermarsi in tempi brevi, anzi. Quello che però Grillo
non dice, o lo dice estremizzando le metafore, è che il M5S non ha
vinto una beneamata minchia, altrimenti sarebbe schizofrenico dire di
aver trionfato dopo il dimezzamento dei voti. Lo sappiamo, in questo
momento Beppe deve tenere unito il Movimento, scaldare i cuori, si
diceva una volta della funzione dei comizi elettorali. Ma Grillo i
cuori non li scalda più, accentua la rabbia (sua personale e di
Casaleggio) e gioca su un mare di macerie anche con un certo cinismo.
Che stia sbagliando, glielo hanno detto perfino Asor Rosa e Rodotà,
non sospettabili di collateralismi governativi, ma Beppe, quando gli
toccano il giocattolo, da fuori di matto...
mercoledì 29 maggio 2013
Per Silvio siamo “coglioni”, per Grillo “l'Italia peggiore”. In fondo noi siamo solo bravi ragazzi.
Onestamente.
Ci siamo rotti le palle di essere offesi a ogni alzata di palpebra.
Siamo arrivati al punto di “chi non sta con me, sta contro di me”,
e giù vaffa e insulti. Sarà pur vero che siamo un popolo
eufemisticamente strano, ma insomma, santiddio, un po' di rispetto. O
no? Prima arriva Silvio che ci dice “Chi non vota Pdl è un
coglione”. Poi, tanto per rendere chiara l'idea dell'uomo solo al
comando, arriva Beppe Grillo in stato di shock traumatico
post-elettorale, e dice che chi ha votato per Ignazio Marino fa parte
dell'Italia peggiore. Ora se non fosse che Marino si è candidato a
Roma contro il suo partito (il prescelto della nomenklatura era David
Sassoli), non ha votato la fiducia al governo LettaLetta, non ha
votato per Giorgio Napolitano alla presidenza della repubblica ma per
Stefano Rodotà, non fosse che la pensa proprio come i grillini sui
beni pubblici, sui costi della politica e sulla moralizzazione,
qualcuno potrebbe dirsi: “Oh madonna e che ho combinato?”, invece
non ha combinato una mazza di niente, ha votato solo per il politico
più pulito in circolazione. Cosa bisogna fare per piacere a Grillo
non si sa, o forse sì: stracciare la tessera del partito, aderire al
M5S, sentirsi ripetere continuamente “arrenditi sei un ex
partitaro”, poi andare a piedi da Genova a Savona per liberarsi
delle ultime tossine partitocratiche e infine, per essere accolto
come il figliuol prodigo, traversare a nuoto tutto il mar Ligure (A/R
come le raccomandate). Non sapendo come giustificare una batosta
senza se e senza ma, Beppe si è reso conto che forse con i media si
devrà comportare diversamente. E infatti scrive sulla Literaturnaja
Gazeta: “Non posso dare la colpa del nostro risultato alla stampa o
ai talk-show, alla fin fine non incidono poi così tanto, la colpa è
degli italiani che hanno continuato a votare per i partiti. E gli
italiani che votano per i partiti, sono gli italiani peggiori”.
Così parlò Zarathustra, con tanto di arrangiamento di Eumir
Deodato per Oltre il giardino. Ma a parte queste amenità, c'è
un fatto che colpisce e che denota la santa ingenuità dei ragazzi
del Movimento approdati miracolosamente in Parlamento. In queste ore
girano sul web tutte le proposte di legge presentate dai grillini
nelle commissioni parlamentari. Le ragioni sono fondamentalmente due.
La prima è che vogliono dimostrare che non stanno rubando lo
stipendio discutendo di scontrini, ma lavorano. La seconda
riguarda la coerenza delle proposte presentate con il programma
elettorale proposto ai cittadini durante lo Tsunami Tour. Le abbiamo
lette, e dobbiamo ammettere che sono tutte proposte che
sottoscriveremmo senza nessuna difficoltà. I dubbi, invece, ci
vengono sulla loro reale percorribilità. Come si sa, le leggi oltre
che proporle, bisogna farle approvare. In democrazia, perfetta o
imperfetta che sia, per approvare una legge occorre una maggioranza,
i grillini dovrebbero saperlo visto che il Parlamento italiano, a
maggioranza, ha stabilito che Ruby era la nipote di Mubarak. Dicendo
no a tutti e mandando tutti a fanculo, chi mai potrebbe votare una
proposta di legge del M5S? Oltre che entrare a far parte del mondo
dei sogni, dove mai potrebbe trovare posto una legge presentata e mai
approvata? Facciamo un esempio, il reddito di cittadinanza. Ho
promesso in campagna elettorale ai miei elettori di introdurlo.
Presento il progetto di legge e nessuno lo vota non perché ci sia
qualcuno contrario, ma solo perché non sono riuscito a trovare le
giuste alleanze per l'aura di santità con la quale ho deciso di
illuminarmi. Con chi se la prenderebbero gli elettori, con quelli che
non l'hanno votata o con me che non sono riuscito a creare le
condizioni perché passasse? E a meno che l'Italia peggiore non sia
anche la più deficiente, la risposta dovrebbe essere scontata. Tira
aria di fronda, nel Movimento. Stavolta lo Tsunami ci sarà davvero,
ma dentro la Baia Placida del mare di Genova.
martedì 28 maggio 2013
Il M5S frena, il centrodestra barcolla, le liste civiche affondano, l'astensionismo vince. Tiene solo il centrosinistra, l'unico schieramento con uno zoccolo duro.
Facile
la battuta: il centrosinistra tiene perché ha lo zoccolo duro, il
centrodestra arretra perché ha le zoccole e basta. Ma le cose non
stanno così e le considerazioni da fare sono altre. Che Alemanno, ad
esempio, non abbia tutti i venerdì previsti dal calendario
gregoriano, si sapeva. Ma che dopo la batosta ricevuta, invocasse
l'aiuto dei crociati, dei neri ad oltranza, dei marchiniani e dei 5S
per una improbabile rimonta, la dice tutta sulla disperazione totale
ma anche tenera, di cui è vittima l'uomo che più di ogni altro odia
la Protezione Civile. Il centrosinistra tiene, come dice Debora
Serracchiani “nonostante il Pd” che, se presenta volti come il
suo o come quello di Ignazio Marino, corre perfino il rischio di
vincere. Sono due, comunque, i dati salienti di queste
amministrative, difficili da definire solo come un “campione”. Sette
milioni di elettori sono tanti per un semplice sondaggio, anche se
pochi per dire che le preoccupazioni di Berlusconi siano fondate.
Infatti, dove non ce la fa lui, intervengono i capi del Pd a dargli una
mano. Il primo dato riguarda l'astensione. Il nostro post di ieri,
ripensandolo, una chiave di lettura la dava. L'astensione si può
infatti riassumere in “non se ne può più”, mentre ogni altra
analisi sociologica, politica, mediatica, di costume, addirittura
sportiva, troverebbe il tempo che trova. La gente è stanca di fare
domande a chi non ha nessuna intenzione di rispondere. Ci sta
provando inutilmente da più di vent'anni. Chiedono soluzioni i
giovani, i precari, i cassintegrati, i disoccupati espulsi
definitivamente dal mercato del lavoro, i pensionati, le casalinghe,
le donne, i “diversi”, i diversamente abili, i diversamente
vedenti, i diversamente udenti, i diversamente e basta che non
vogliono fare i clochard. Ci prova un popolo stremato dal malgoverno,
dalla mala-politica, dalla mala-educazione, dalla malafede di chi
pensa solo ai cazzi suoi e che, come Fiorito dopo la condanna, dice:
“Basta politica, farò il filantropo”, sì, di se stesso. La
gente è stanca di domande inevase e di facce che, crisi o non crisi,
continuano a giocare a Risiko. E si è stancata anche di Beppe Grillo
e dei suoi insulti, della sua dabbenaggine politica, della miopia da
curare con il laser, di una arroganza senza limiti pur presentandosi
come il novello Masaniello-guida della povera gente. Il M5S, dal
giorno dopo le elezioni, non ne ha azzeccata una. Popolato da
ragazzini infoiati, come se ne trovano a centinaia negli scioperi per
una palestra più attrezzata, il M5S pretendeva di dare lezioni di
moralità e di pulizia e di rinnovamento della classe politica, con
una allegra banda di brufolosi frequentatori del web, terrorizzati
dai microchip sottocutanei della Cia. Le immagini streaming
dell'incontro con Bersani, quelle dei due capi dei mandamenti del
senato e della camera, Crimi e Lombardi alle prese con Ballarò, per
assurdo hanno nuociuto più ai 5S che non a Bersani, che condannato
lo era già di suo. L'ottusità con la quale Grillo e Casaleggio
hanno condotto il Movimento fino a oggi, le risse per le presenze
televisive e le interviste, le tate della comunicazione che puliscono
il culetto di bambini in preda alla diarrea verbale, i no a prescindere, lo
scivolone su Prodi, l'assenza totale dal dibattito parlamentare, se
non con incravattati che leggono le parole scritte da altri, hanno
fornito al popolo elettore una immagine di pressappochismo che li ha
allontanati definitivamente dall'esperienza grillesca e alla fine,
col cazzo che li hanno votati. E non regge il discorso di Marco
Travaglio fatto oggi sul Fatto in cui, tanto per cambiare, da la
colpa del pessimo risultato dei 5S, alla Rai, a Mediaset e a La7 per
il silenzio che ha circondato la campagna elettorale dei grillini:
era accaduto anche per le politiche. Grillo sperava di andare ai
ballottaggi dappertutto, ha dimezzato i voti e questo gli basti a
ragionare. Facciamo nostro il discorso di Peter Gomez, ieri da
Mentana. “Io non sarei tanto sicuro della durata del governo
LettaLetta – ha detto il direttore del Fatto.it – potrebbe
accadere che l'esito di queste elezioni, modifichi alcuni assetti,
compreso quello di un nuovo governo appoggiato dai 5S”. Già.
Potrebbe accadere, anzi, sarebbe auspicabile. C'è da dire,
ripensando a qualche giorno fa, che un eventuale governo Bersani con
l'appoggio dei 5S avrebbe avuto comunque vita breve. I 101 zozzoni
che hanno silurato Prodi, e che non hanno ancora il coraggio né di
uscire allo scoperto né di dire perché lo hanno fatto, avrebbero
silurato anche una soluzione che milioni di italiani ritenevano la
più auspicabile. E se una colpa può essere addebitata a Grillo e al
governatore di Gaia, è quella di non aver tenuto in considerazione
il fatto che dall'altra parte ci sono sciacalli sanguinari e non
esseri umani dotati di buon senso. Zozzoni veri, mica pifferi. E con
gli zozzoni non si vince urlando, ma trombandoli sul loro stesso
terreno di presunti politici raffinati. Il dispiacere profondo per
l'esito di queste amministrative, sta tutto nella frase della
Serracchiani: “nonostante il Pd”.
lunedì 27 maggio 2013
Meno 16 per cento di votanti, la media nazionale. Il 19 a Roma. Questa politica ha cordialmente rotto le palle.
Non se
ne può più. D'o' Schiattamuort che va da Fazio a rifilarci il
pistolotto del matrimonio di interessi. Non se ne può più. Di un
partito che per 20 anni non ha votato l'ineleggibilità di Silvio,
tradendo la Costituzione. Non se ne può più. Di cabarettisti,
imbonitori, democristiani redivivi, socialisti fumée, liberali in
eterna crisi di identità, amici dei camorristi che, prima di essere
eletti presidenti di commissioni parlamentari, vanno in carcere a
rendere omaggio a Nick o' mericano. Non se ne può più. Di satiri
malati e di profittatori di minorenni, manco fossero preti. Non se ne può più. Di orge con tanto di suore finte con
reggicalze, spacciate per serate eleganti trascorse a bere gingerini.
Non se ne può più. Di una destra che ha tradito tutti gli ideali
della destra e di una sinistra che non lo è mai stata, di sinistra.
Non se ne può più. Di medici obiettori di coscienza e di ragazze
che ricorrono ancora, nel 2013, agli aborti clandestini e ai
ginecologi obiettori in clinica, farraioli fuori. Non se ne può più.
Di uomini che non sono uomini, ma solo proprietari delle loro donne
quasi fossero un Suv a gasolio. Non se ne può più. Di uomini che se
hanno il sentore che il loro Suv se ne sta andando per cazzi suoi, lo
prendono a martellate fino a rottamarlo. Non se ne può più. Di una
nazione che non rispetta il diritto all'amore di uomini e donne, di
uomini e uomini, di donne e donne, perché l'amore è uno e non ha
bisogno di nessuna legge né di benedizioni. Non se ne può più. Di
vigliacchi che aggrediscono i diversi, neri, gialli, marroni, rossi e
gay solo perché sono diversi. Non se ne può più. Dei richiami alla
responsabilità degli altri, perché alla nostra ci pensiamo noi. Non
se ne può più. Degli evasori fiscali che sottraggono per puro
egoismo, alla comunità, il necessario per potersi definire civile.
Non se ne può più. Del buonismo pacificatore di chi non ha mai
condotto una battaglia in vita sua. Non se ne può più. Dei
baciapile per convenienza, quelli che i ceri li lasciano ardere
facendo scolare la cera sul corpo dell'amante assatanata. Non se ne
può più. Dei vigliacchi, dei paurosi, di chi non ha il coraggio di
dire la sua perché potrebbe far male a qualcuno e intanto annega
nella perenne infelicità. Non se ne può più. Di chi in campagna
elettorale promette e poi non mantiene, di chi dice “arrendetevi”
e poi non punta neppure un manico di ombrello. Non se ne può più.
Di chi farnetica sui rimborsi degli scontrini fiscali quando un
pensionato al minimo saccheggia i cassonetti dell'immondizia. Per
tutte queste ragioni, e parecchie di più, chi si sorprende che il 16
per cento degli elettori oggi, non è andato a votare, non capisce un
cazzo di cosa sta succedendo in Italia. E se nella Capitale la
percentuale degli astenuti raggiunge il 19 per cento, una ragione ci
sarà: “la colpa è del derby” direbbe LettaLetta. Ma la colpa
non è del derby, ma di una classe politica incapace di rappresentare
le esigenze della gente, di starla ad ascoltare, di aiutarla quando
sta affogando fra un mare di bollette scadute e un avviso di
pignoramento di Equitalia. Il fetore di questo paese marcio,
irrimediabilmente destinato a una fine ingloriosa, è entrato
dappertutto: nelle stanze con gli stucchi dorati di Montecitorio e
nelle baracche, nelle chiese e nei bar, nelle fabbriche e negli
ospedali e sta diventando sempre di più insopportabile, intriso
com'è dei miasmi della carcassa di una balena bianca spiaggiata. A
volte ci piacerebbe che anche nei nostri mari navigasse una baleniera
giapponese, una di quelle vere e proprie macchine da mattanza che
solo i giapponesi sanno costruire. Ma nei nostri mari navigano solo
gli yacht frutto di evasioni fiscali totali, di governatori di
regione che trusciano tutto quello che possono trusciare, di calzolai
con le suole sfondate, di gioiellieri che comprano oro a cifre da
strozzini, di cravattari tout court convenzionati con le banche. Nei
nostri mari non navigano più neppure i pescherecci, perché di pesce
non ce n'è. Cazzo, si sono mangiati pure quello.
domenica 26 maggio 2013
Roma: 120 centimetri di scheda elettorale, quasi un rotolone Regina. Bondi e Galan aprono ai diritti civili degli omosessuali. E il Pd fa orecchie da commerciante.
La
battuta più bella (finora) è stata quella di un elettore appena
uscito da uno dei seggi romani: “Az – ha detto – occorrono
cabine di almeno 40 metri quadrati”. La Capitale, con 40 liste,
corre il rischio di battere il Guinness dei Primati delle schede
elettorali più lunghe di tutti i tempi e di ogni dove. Un foglio di
carta del genere non si vedeva dall'Argentina della fine della
dittatura, quando sopravanzò il Cile di una decina di liste. Ultima,
in questa ridicola graduatoria, la Russia con una sola lista, quella
di Putin, ma si sa, in Russia vige la democrazia più viva e
partecipata. Non a caso, Vlady è cordialmente invidiato da Silvio,
che in queste ore se la sta spassando nella dacia dello Zar a parlare
di gas, a bere vodka e a finanziare il centro estetico di Natasha. Ma
torniamo a Roma. Il rischio che la lunghezza della scheda elettorale
allontani ancora di più i votanti, è vivo e vibrante. Questa
mattina a mezzogiorno, aveva infatti votato il 5 per cento in meno
dei romani, rispetto alle ultime amministrative. Vabbé il derby per
la finale di Coppa Italia, ma il distacco dalla politica si fa ogni
giorno più profondo. In questo clima, chi rischia di sorridere per
il secondo mandato, è il sindaco uscente, Gianni Alemanno, chiamato
familiarmente “zio” dalla folla dei parenti assunti all'Atac. Il Pd corre con
un galantuomo, Ignazio Marino, una delle poche persone che voteremmo
in assoluto. Ma i democrat sono in una crisi talmente nera che
l'impressione è che non servirà il lumicino “Marino” a ridargli
un po' di luminosità. Il Pd paga inoltre l'alleanza contronatura con il Pdl,
un matrimonio devastante che sta allontanando giorno dopo giorno, una
base nauseata. Il M5S, con Marcello De Vito, a meno di sorprese
dell'ultima ora, dell'ultimo voto, dell'ultima urna di borgata, non
dovrebbe andare neppure al ballottaggio. Poi c'è Alfio Marchini l'outsider (al
quale si è affiancato nelle ultimissime ore Antonello Venditti), che
corre rischi seri dopo che la sua lista è stata ufficialmente
abbracciata e benedetta da Mario Monti, noto per portare sfiga
all'Italia, agli italiani tutti ma non a se stesso. Insomma, la
riconferma di Alemanno, data per impossibile fine a qualche settimana
fa, sembra, allo stato delle cose, l'unico dato certo, soprattutto se
come probabile, la partita si dovesse decidere al ballottaggio, con
Forza Nuova e i casapoundini pronti a dar manforte al “nero per
volontà”. Quasi sette milioni di italiani fra oggi e domani,
andranno a votare. Più attendibile di un sondaggio, il numero degli
elettori dovrebbe servire a capire che aria tira in questo momento in
Italia, anche se, a sentire LettaLetta e o' Schiattamuort, l'esito
del voto, qualunque esso sia, non influirà sul cammino del governo.
Strani, questi soggettoni del Pdl, giocano al poliziotto buono e a
quello cattivo, non sapendo che di fronte hanno un
democristiano doc, quello a cui Fabio Massimo, detto o'
Temporeggiatore, fa una solenne pippa (da non confondere con la, scomparsa dal gossip, cognata di William). Ma anche nel Pdl ci sono
acque agitate, e per un argomento sul quale non avremmo scommesso un
cent: i diritti civili. Svegliatisi da un lungo letargo, nelle scorse
ore, e a seguito della lettera di Davide Tancredi a Repubblica (e
alla risposta di Laura Boldrini), Sandro Bondi e Giancarlo Galan sono
scesi in campo per garantire la libertà a tutti, e non solo agli
iscritti al loro partito. Sandro Bondi ha detto: “A differenza
dell'onorevole Roccella e di tanti miei amici, non capisco perché i
cattolici debbano fare delle battaglie contro chi invoca il
riconoscimento delle unioni fra omosessuali, al di là delle diverse
e legittime posizioni sul significato del matrimonio”. Più
infervorato, Galan ha detto: “La lettera di Tancredi mi ha
commosso. Una richiesta di vita, di libertà, di poter amare e di
essere se stesso come chiunque altro, una richiesta matura,
consapevole, profonda. Ma le sue parole non mi hanno stupito perché
sono vere, dice la verità”. Dal Pd, sulla via della pacificazione
totale, nessun commento. L'omosessualità, per LettaLetta, è
evidentemente, un argomento “divisivo”. Con Fioroni.
sabato 25 maggio 2013
Roma: piazze semivuote per gli ultimi comizi. Milano: Ruby non sa, Ruby non ricorda... oh!
Deve
essere stato quel “Grillini burattini mossi da un capocomico”, detto da Silvio a dentatura di Capodimonte serrata, a far disertare
la piazza di Beppe Grillo. Deve essere stato quel “Manderemo a casa
il Nano quando lo affronteremo faccia a faccia” gridato da Grillo,
a far disertare la piazza del comizio di Alemanno. E deve essere
stata l'aria che tira intorno al Pd, a far disertare la piazza
dell'ultimo comizio di Ignazio Marino. Comunque la si voglia mettere,
ieri a Roma le piazze dei comizi finali dei candidati sindaci, erano
miseramente piene a metà o mezze vuote, dipende dai punti di vista e
dalle sensibilità. Il fatto è che questa volta Alemanno, Grillo e
Marino non possono prendersela con la Questura, non ci sono dati
ballerini da commentare, ma le immagini delle telecamere di tutte le
tv, compresa quella del Bahrein, arrivata in Italia per commentare la
farsa planetaria di un paese tenuto per le palle da un puttaniere. La
mancanza del popolo, della gente, dei compagni e dei camerati, dei
perditempo e degli idealisti della domenica ai comizi finali di ieri,
è la dimostrazione che il distacco che c'è fra la maggioranza
silenziosa (ancora per poco) e questa classe politica arraffona e
piena di contraddizioni, è ormai siderale. Grillo ci sta provando a
ridurla, ma il compito sembra impossibile anche per lui. Ultima
notizia di queste ore, l'incontro (neppure troppo segreto) di Pippo
Civati con una trentina di malpancisti del M5S. Sullo sfondo di uno
scenario da tragedia shakespiriana, si muovono personaggi da incubo
di una notte da mezza Italia i quali, pur di uscire fuori dal teatro
e respirare un po' di aria pura, venderebbero l'anima a Mefistofele
o, in subordine, fonderebbero un nuovo gruppo parlamentare. E non si
pensi (e non si illuda Epifani) che Civati sia un caso isolato né
Grillo conti di ridurre a intemperanze giovanili, il malessere profondo che c'è
nel suo gruppo parlamentare, perché così non è, e l'impressione
che LettaLetta finisca per accorgersene presto, è più di un
sentore. La situazione politica italiana è in continua evoluzione,
per definirla meglio si potrebbe usare il termine “magma”, ma
sarebbe riduttivo. C'è un mare di scontenti, a destra, a sinistra e
dalle parti dei 5S, pronto a sollevare onde da oceano e si sa, quando
arriva lo tsunami, non c'è trippa per gatti né appiglio possibile.
È vero, ci si sposa sempre di più per ragioni altre da quelle
dell'amore, ma sono matrimoni che durano poco, qualche anno, qualche
mese, qualche giorno. Ci sono poi quelli che finiscono appena gli sposi
partono per il viaggio di nozze. Le tipologie della fine dei
matrimoni è vastissima, ma quella che si potrebbe verificare nel
LettaLetta in questo momento, deriva da un concetto molto semplice, il
contronatura. E contronatura deve essere stato anche il rapporto fra
Ruby e e il Presidente, visto che nessuno dei contraenti ricorda come sono
andate le cose. Ieri al tribunale di Milano, è andata in scena una
farsaccia da guitti di periferia. Un copione scritto con i piedi, una
recitazione degna di un saggio finale dell'Utes, comparse di
quart'ordine, e una regia schizofrenica da rimbambiti in malafede. La
signora Ruby è stata indisponente e arrogante come quelle persone
che si sentono protette dal padreterno, che poi si chiami Silvio e
non dio, è un fatto marginale. Invitata dal presidente della Corte a
“modificare atteggiamento”, la spocchia della giovane
parente di Mubarak (per volere del Parlamento italiano) è stata irritante e le ha consentito di infiorare la sua testimonianza con una serie impressionante di “non so”,
“non ricordo”, che avrebbero fatto incazzare perfino il
flemmatico Giobbe, figuriamoci un giudice alle prese con menzogne
stratosferiche. Qualcuno poi si chiede ancora perché Ghedini e Longo
non l'abbiano voluta come testimone nel processo che la riguarda
direttamente. Ruby, nella sua totale insipiscienza, ha sputtanato
involontariamente il suo protettore, ribaltandone tutte le autodifese
e descrivendo esattamente come si svolgevano le cene eleganti di
Arcore, definibili con un “puttanaio nauseabondo” e nulla più.
Altro che stile di vita libertario, altro che privacy violate,
l'immagine di Nicole Minetti vestita da suora, la racconta più lunga
di qualsiasi altro romanzo d'appendice scritto con i piedi. Questi
sono i costumi che i pensionati di Villa Serena difendono con le
unghie e le dentiere ogni volta che Silvio va in tribunale.
venerdì 24 maggio 2013
Berlusconi “evasore” anche da premier. E scende il gradimento degli italiani per il LettaLetta: continuano a preferire il Chupa Chups.
I
giudici di Milano hanno depositato la sentenza con la quale Silvio
Berlusconi è stato condannato a quattro anni di galera e cinque di
interdizione dai pubblici uffici. L'uomo che disse: “Se il carico
fiscale è eccessivo, è giusto evadere”, ha dimostrato con i fatti
che non solo la pensava così, ma che metteva in atto quelle che
potevano sembrare solo boutade. Ora, siccome noi siamo notoriamente
lenti, tardi a comprendere, spesso con la testa fra le nuvole e per
nulla “concreti”, ci chiediamo: ma se la pressione fiscale in
Italia è troppo alta, a chi tocca il compito di farla scendere? alla
magistratura? alla corte dei conti? al capo-condomino dell'Olgettina?
al consiglio di presidenza della bocciofila Mater Dei di Città del
Vaticano? agli iscritti all'albo degli odontoiatri? Se per cinque
campagne elettorali Silvio ha detto che avrebbe abbassato le tasse,
vuoi vedere che far scendere la pressione fiscale tocca al governo? E
se al governo c'è stato lui per venti anni (o giù di lì) e le
tasse non sono scese anzi, sono aumentate a dismisura, la colpa di
chi è, del destino cinico e baro? C'è da diventare matti. Leggere i
commenti di Silvio alle sentenze che lo condannano, è come scorrere
il libro tibetano dei morti, quello composto da mantra onomatopeici
esemplificati in corde vocali che vibrano. E lo stesso è accaduto
per la sentenza sul processo Mediaset, con la differenza che la
“pacificazione” implica toni bassi da parte del Capo, mentre i
servi possono lasciarsi andare: la classica, consolidata,
cinquantennale tattica democristiana di essere maggioranza e
opposizione contemporaneamente. Nomi e cognomi, please: Renato
Brunetta, Mara Carfagna, Fabrizio Cicchitto, Daniele Capezzone,
Maurizio Gasparri e Maria Stella Gelmini (commentatori a latere
Maurizio Belpietro e Alessandro Sallusti), hanno sparato ad alzo zero
contro la magistratura politicizzata e sinistrizzata (come se in
Italia ci fosse ancora una sinistra), non risparmiando invettive
stile quelle che hanno portato il direttore e due giornalisti di
Panorama a essere condannati a 8 mesi di carcere, mentre loro che
sono deputati se la caveranno con un “pat pat” di Silvio sulla
spalla. Non sono pervenuti, in questo caso, gli insulti dei
pidiellini impegnati nella formazione base predisposta dal CT
LettaLetta. In poche parole, dagli ex forzaitalioti governativi
neanche un sussurro sulla sentenza, anche se dicono che tenere a
freno Maurizio Lupi è stata una fatica immane. Nessun commento, ovviamente, neanche da parte dei pidini pacificatori e molto hippye (tutti pace a amore), se si esclude Rosy Bindi che ha provato a dire qualcosa, subito zittita da nonno Epifani. Silvio ha sospirato: “A
questo punto non posso che sperare nella Cassazione”. Lo avevamo
detto, l'elezione di Giorgio Santacroce a primo presidente della
Corte, gli ha aperto scenari inimmaginabili fino a ieri, perché la
Cassazione è importantissima, chiedere alla buonanima di Belzebù
per averne conferma. E a proposito di compagine governativa. Partito
con un 48 per cento di share (“Amici” docet), il governo a guida
democristiana ha già perso 3 punti nelle preferenze degli italiani.
Il fatto è che gli sketch che propone non fanno ridere nessuno. E se
potevano essere giustificati nella prima puntata di rodaggio, a lungo
andare la comicità sterile indispettisce. Ne sa qualcosa Silvio che,
alla decima riproposta della barzelletta su Mohamed Esposito ai
vertici europei, si era visto la platea dimezzata. E dire che Squinzi,
proprio ieri, quasi con le lacrime agli occhi ha detto a LettaLetta:
“Siamo sull'orlo del baratro, lo muovi quel culo. o no”?
giovedì 23 maggio 2013
Le silviesche porcate quotidiane. Ma oggi è il giorno di Giovanni Falcone e di Don Gallo. E poi dicono che i morti sono tutti uguali!
Ormai
siamo costretti a elencare. Un po' come la lista della serva, un po'
come il vecchio contrappello in caserma. Non si può e non si deve
tacere. Non si può e non si deve far finta che nulla sia successo o
peggio, accada.
Porcata
numero 1. Silvio è incazzato nero con i manifestanti di Brescia:
quelli del “pidocchio” e del “ladro” e della “puttana”.
Così fiero e arrogante sul palco, così poco Cuor di Leone quando i
riflettori si spengono, Silvio proporrà, attraverso gli Spic&Span
di turno, una legge che preveda il carcere duro, a pane e acqua e
scosse elettriche nei testicoli, per chi disturberà i suoi comizi
elettorali, una legge insomma, ad orationem Silvio, che punirà
ferocemente tutti coloro che gli grideranno “in galera”. Questa
volta Berlusconi sa che la piazza è inferocita, e che contare solo
sulla prestanza fisica di quelli di Casa Pound non basta. Allora le
forze dell'ordine dovranno fare il loro dovere, che come tutti sanno,
non è solo quello di accompagnare e proteggere le mignotte che vanno
ad Arcore o a Palazzo Grazioli.
Porcata
numero 2. La Porcellum non si tocca. L'unica cosa che si potrà fare
è quella della soglia del 40 per cento per usufruire del “bonus” di maggioranza. Siccome nessuno, in queste condizioni, lo raggiungerà
mai, si tornerà di fatto al proporzionale. Ma quello che Silvio teme
di più, è il doppio turno, la possibilità che gli elettori tornino
a scegliere il deputato o il senatore espressione del loro
territorio. Non poter “nominare” come accade ora con la
Porcellum, i rappresentati di se stesso prima che del popolo, Silvio
la trova un'aberrazione. Verrebbe a mancare cioè, quel potestate situm, che ha fatto la fortuna del Capataz ricattatore unico e
insindacabile. Ecco, ora gli italiani sanno chi non vuole cambiare la
legge elettorale targata Calderoli, e perché.
Porcata
numero 3. Tornato in auge grazie agli amici del cuore del PD che lo
vogliono battere sì ma alle elezioni (un “sciogno”, un pio
desiderio), Silvio è tornato a mettere sul piatto della bilancia il
suo riacquisito potere. E da dove iniziare se non dalla Rai?
Berlusconi vuole, a stretto giro di nomine, il nuovo direttore
generale (Masi non bastava) e la direzione del TG2. Seguendo i
vecchi schemi del craxismo, Silvio vuole tornare al manuale Cencelli
delle nomine Rai e, sapendo di non avere (per il momento) la
maggioranza relativa, sa anche di non poter puntare al TG1 né al
TG3, Telekabul per definizione. Chi credeva che fosse cambiato
qualcosa, farà bene a guardarsi intorno, non è cambiato nulla, solo
un democristiano di ferro al comando, peraltro tenuto accuratamente
sotto ricatto.
21
anni fa la coppia Riina-Brusca faceva saltare in aria l'auto di
Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo. Due mesi dopo, lo show si
ripeteva con Paolo Borsellino. Ventimila ragazzi di tutte le scuole
d'Italia, si ritrovano oggi a Palermo per “ricordare”, per “non
dimenticare”. Ogni parola in più spesa per il giudice antimafia
per antonomasia, potrebbe sembrare l'ennesimo necrologio. Fra le
tante frasi pronunciate in vita da Giovanni Falcone, ce n'è una che
ci è rimasta impressa: “Mi hanno messo una bomba davanti casa –
diceva il giudice – e se non è esplosa, la colpa è stata mia”.
È morto Andrea Gallo. Chiamarlo “don” ci sembra riduttivo. Lo si
può definire in mille modi ma non si potrà mai dire che sia stato
un pusillanime. Sempre e comunque dalla parte degli ultimi, don Gallo
è stato l'amore per il prossimo fatto persona. Anche nel suo caso,
spendere una parola in più ci sembrerebbe di entrare nell'agone dei
necrologisti e noi, i necrologi, non li sappiamo scrivere. Per
assurdo, però, ci piace parafrasare Giovanni Falcone: “Il signore
mi ha messo una bomba chiamata vangelo davanti la porta di casa. Di averlo scritto, sono stato incolpato io”.
mercoledì 22 maggio 2013
Pdl scandaloso: decreto per salvare Dell'Utri. E intanto la commissione elezioni non parte, dicono che si è spaccato il Pd. Ma dai?!
C'hanno
la faccia come il culo. Non si discute. Non c'è verbo né verso per
spiegare a chi ancora li vota, che tipo di pesci sono. E sono ancora
lì, in fila, a tentare di salvare in tutti i modi amici potenti,
amici degli amici potenti, amici degli amici degli amici
potentissimi. L'ultima porcata è il tentativo di trarre dagli
impicci Marcellino Dell'Utri, per il quale si prevede un futuro con
il pigiama a righe, come nella vecchia Sing Sing, o era Alcatraz?,
L'ha presentata (la porcata), in commissione giustizia del Senato,
Giacomo Caliendo, uno che si fa la doccia con la spugna e crede che
tutto il mondo si pulisca così. Inventore e primo redattore, è
invece il senatore Guido Compagna che però, dicono quelli del Pdl,
non è dei loro ma del GAL (Gruppo Autonomie e Libertà). Cosa
prevede la proposta del duo Spic&Span (sgrassatori, nda):
“Condanna dimezzata per concorso esterno in associazione mafiosa.
Niente carcere e intercettazioni per chi svolge attività sotterranea
di supporto ai componenti dell'associazione mafiosa. Si dovrà
dimostrare che c'è un profitto”. Appresa la notizia, è partito il
fuoco di fila dei “no”, con in testa nientepopodimenochè la
Lega, seguita da Pd e Sel. Non pervenuto il commento dei FiveStars,
impegnati a fare le somme degli scontrini. Per una volta le
opposizioni, e una parte del Pd, hanno tenuto alta la barra della
resistenza e così, il capogruppo al Senato del Pdl, Renato Schifani,
che di mafia se ne intende, ha dovuto fare un rapido passo indietro,
pretendendo da Caliendo l'immediato ritiro della proposta. Non
sappiamo se Spic lo abbia fatto, quello che si sa è che Span non
l'ha presa affatto bene. Il giudizio di Dell'Utri non è pervenuto.
Il Pdl, insomma, si sta comportando come se avesse la maggioranza
assoluta, esattamente come nel precedente parlamento. Ai suoi uomini,
non frega un amatissimo cazzo di rimediare figuracce, perché tanto
sanno che devono provarci: un ricatto dopo l'altro e anche LettaLetta
potrebbe calarsi le braghe. Questo è ciò che succede quando si sta
con una mano estranea che ci strizza le palle. Si sente un gran
dolore, ma non si capisce mai fino in fondo di chi diavolo sia quella
mano. LettaLetta si sente così. Come uno al quale le palle vengono
strizzate 24hours, e non c'è verso di fargli mollare la presa. Ma
sapete che ha detto oggi Luciano Violante ai microfoni di RaiNews24?
Il re dei pacificatori, alla domanda impertinente del giornalista che
gli ha chiesto: “Onorevole Violante, ma se lei dovesse votare la
ineleggibilità di Berlusconi, voterebbe sì o no?” Il Violante fan
dei morti di pari dignità (perché tanto morti sono), ha risposto
(citiamo a memoria): “Per sei volte abbiamo detto sì alla
eleggibilità di Berlusconi, che male ci sarebbe a dirlo una settima volta?” Non sappiamo se la demenza senile arriva al punto di
assoluto obnubilamento, ma questa uscita da squilibrio
mentale dell'onorevole Violante, ci è sembrata più una reiterazione
a delinquere che una posizione politica. Cerchiamo di dire la nostra
sul caso Grillo-Gabanelli che in queste ore sta infiammando il
dibattito sul web. Ma non si farebbe prima a presentare il bilancio
che dimostri la chiusura negativa dei conti del blog di Grillo? Cosa
cazzo centra che il blog non prende un centesimo dallo Stato, perché
il nostro si sta arricchendo con i soldi del dipartimento
dell'editoria della presidenza del consiglio? Sarebbe quantomeno
opportuno, per tacitare voci malevole, che venissero fuori le carte
(certificate ovviamente), che dimostrino la perdita secca di 38mila
euro. Ma quanto diavolo costa il blog di Grillo? E che è, una rete tv?
martedì 21 maggio 2013
Dalle 5S alle stalle. Duro attacco del Movimento di Grillo a Milena Gabanelli. E intanto, oggi, nella giunta delle elezioni...
Sono
arrivati a definirla “trasmissione di merda”, tradendo quel vezzo
tutto italiano, e niente affatto movimentista, di prendersela con chi
ci fa le pulci, di chi vuol sapere e capire, di chi vuole informare.
Fino a ieri paladina della libera informazione, fin quando si è
occupata di Montecarlo e di Saint-Lucia, di Eni e della Lega, dell'ex-Ds
e della ex-Margherita, delle case di Di Pietro e dei castelli di
Berlusconi, è stata elevata al soglio di santa, quasi come Rita da
Cascia. Poi, siccome lei è una indipendente vera, nel momento in cui
vorrebbe sapere che fine fanno i soldoni che Grillo incassa con il
blog, i grillini gli saltano addosso con la stessa furia della nostra
amica iena maculata sulle carcasse. Un po' ultras, i grillini stanno
dimostrando in queste ore di essere uguali agli altri, almeno quando
si toccano alcune corde sensibili. Sarebbe bastato che Casaleggio si
fosse fatto intervistare che probabilmente il tono di Report sarebbe
stato diverso. Ma per chi vive all'altezza del pianeta Gaia, tentare
di stare sulla terra, con i piedi per terra, diventa un'impresa. Così
accade che la candidata del 5S alla presidenza della repubblica,
ansiosa di capire come Grillo gestisce i proventi del suo blog, venga
paragonata ai servi del Pd-Pdl e trattata come tale. Certo che è
strano. L'unico giornalista che si salva dalla canea anti-grillini
contro la stampa, è quel gran paraculo di Marco Travaglio, che
capisce sempre prima degli altri dove tira il vento, salvo farsi
impallinare da Silvio Berlusconi nella trasmissione che avrebbe
dovuto segnarne non la rinascita ma il definitivo funerale con tanto
di cremazione. Alle scorse elezioni, Travaglio ha votato esattamente
come noi, disgiuntamente. Ma non per questo ci siamo messi a stendere
tappeti rossi al cammino suicida di Beppe Grillo. Diciamo però che i
grilleros, hanno oggi la possibilità di riprendere qualche punto
nella nostra personalissima classifica. C'è la prima riunione della
giunta per le elezioni e le immunità, c'è sul tavolo il ddl dei 5S
sulla ineleggibilità di Berlusconi. C'è la paura folle dei
berluscones che il 5S e il Pd possano creare un'asse per far secco
(politicamente) Silvio. Inutile dire che il cerino acceso in mano, ce
l'hanno proprio i pidini. Se dovessero ancora una volta salvare
Berlusconi, come la storia ci ha insegnato, non sappiamo cosa
accadrebbe fra i militanti. Oggi sarà una giornata importante, molto
importante. Anche se è sempre pronto un decreto di nomina di Senatore a vita.
lunedì 20 maggio 2013
Epifani inciampa, barcolla e cade. Purtroppo non è una metafora e le iene del Pdl spolpano la carcassa.
Povero
PD, che fine miserrima! È talmente messo male che ora anche il
destino si fa cinico e baro e... ruzzola. Il PD rotola, rotola, come
la trottola di Gianni Meccia. Travolto dalle sue stesse timidezze,
dall'ansia di protagonismo dei suoi dirigenti, da quella pletora
fantastica di ideologi che si ritrova, il PD sembra essere stato
pizzicato dalla tarantola. Non a caso Massimo Bray è stato imposto
da D'Alema come ministro della cultura. Forse stordito dal ruzzolone
di cui è stato vittima ad Avellino, Guglielmo Epifani, ieri, ne ha
dette e fatte più di Carlo in Francia. Se l'è presa con tutti
(quelli di sinistra ovviamente, con gli altri è in corso la
pacificazione e quindi, meglio non disturbare). Ha iniziato
attaccando il sindacato, in particolare la Fiom che lo aveva accusato
di aver disertato Piazza San Giovanni. Lui, il neo segretario
traghettatore, la vede in un modo. Noi, dopo Brescia, la vediamo in
maniera diametralmente opposta. Non diciamo che una delegazione
ufficiale del PD alla manifestazione sul lavoro, avrebbe risollevato
le sorti del partito, ma almeno avrebbe fatto capire ai militanti che
un po' di anima di sinistra da quelle parti vive ancora. Invece
l'Epifani barcollante, e cadente, non ha perso l'occasione per
attaccare tutte le anime della sinistra accusandole addirittura di
fellonia. Continua a difendere a spada tratta il LettaLetta I e,
anche se Berlusconi si piglia tutti i meriti dei populismi e lascia
al PD le colpe dei tagli e delle tasse, dice: “La nostra si chiama
responsabilità”, a noi sembra un suicidio in piena regola, ma è
solo una questione di prospettiva. Ma la perla vera, Epifani l'ha
tirata fuori dall'ostrica quando ha parlato del rapporto con Sel e
con Nichi Vendola. Ergendosi a paladino di tutti i cuor di leone
italiani, Guglielmo, che non si chiama Riccardo, ha detto: “Non mi piace la sinistra che
scappa”. E in questa frase sono condensati i motivi di tutte le
sconfitte della sinistra negli ultimi venti anni. Il PD non è mai
scappato, anzi. È rimasto ferocemente abbarbicato ai suoi scranni e
alla sue piccole rendite di minoranza, con la caparbietà dei cafoni
siloniani. Quando qualcuno gli faceva notare che non aveva proposto una
legge sul conflitto d'interessi, sulla ineleggibilità di Berlusconi,
contribuendo addirittura a meglio riformulare le leggi ad personam,
la giustificazione ufficiale del PD è sempre stata quella della
“pace sociale”. Secondo Luciano Violante (e non solo lui), una
legge contro Silvio avrebbe imbarbarito il Paese e così, anno dopo
anno, l'Italia e gli italiani sono stati fagocitati da quell'immenso
tritacervelli che chiameremo, per brevità, berlusconismo. Dopo
aver fatto scempio del patto con gli elettori, andando a governare
con il nemico di sempre, Epifani ha dato dei vigliacchi a quelli di
Sel e del M5S e li accusati, paro paro, di fuga precipitosa dalle
responsabilità. Ora, chi abbia lapalissianamente tradito il patto
con gli elettori, crediamo sia un fatto assodato, quello che sconvolge però, è che Epifani, appena eletto, abbia già dato ampia dimostrazione
della temuta svolta “centrista” del Partito Democratico. Ma ieri
è stata la giornata della summa delle correnti pidine. È tornato
Vuolter con la solita palla della “sinistra che vorrei”. Ma che
cazzo di sinistra vuoi, tu, che ti sei fatto mangiare da Berlusconi
in un boccone? Tu che per una intera campagna elettorale hai fatto
finta che Silvio non esistesse mentre ti centrava ogni giorno con
colpi di bazooka chirurgici? E poi quell'altro, il sindaco di
Firenze, che intervistato da Mario Calabresi al Salone del Libro, ha
detto “Io non sono antiberlusconiano”, poi, rendendosi conto di
averla detta grossa dal gelo che si era creato in platea, ha cercato
di farfugliare una risposta che nessuno ha capito. Non ci credete?
Andate sulla webtv della Stampa e riascoltatelo, roba da infuocare il
sangue nelle vene. Matteo Renzi ha comunque annunciato che a ottobre
non si presenterà candidato alla segreteria del PD. La ragione è
semplice, a ottobre Matteo sarà a Palazzo Chigi.
domenica 19 maggio 2013
Il PD scappa dalla Fiom. La Carfagna dal supermercato e LettaLetta e Alfano ormai si baciano alla francese. Evviva la pacificazione.
Ci
dispiace che Mara Carfagna sia stata offesa con parole irripetibili
mentre, da brava casalinga, era impegnata a far spesa al
supermercato. Ci dispiace, veramente, che una donna (e pure un uomo,
perché no?) possa essere molestata per la sua appartenenza politica.
Ci dispiace per gli insulti a Brunetta, a Formigoni, alla Santanchè,
a Cicchitto, a Gasparri, alla Biancofiore, alla Minetti e perfino a
Ruby perché, pensiamoci un attimo, loro non sono altro che
maggiordomi e governanti, camerieri e badanti, con tutto il rispetto
umano che abbiamo per le categorie di lavoratori succitate. Ci
dispiace tanto che a Formigoni si dia del “ladro” e a Brunetta
del “nano” anzi, specie per Renatino si scatena per intera la
nostra solidarietà: non si offendono le persone per le loro
caratteristiche fisiche, non siamo mica Mengele, porco boia. Tutt'al
più il nostro risentimento nei loro confronti, riguarda gli
atteggiamenti politici, l'arroganza, la presupponenza, il dileggio e
lo scherno con il quale gli alti dirigenti del Pdl (di Altissimo ce
n'è uno solo come nella Bibbia) hanno trattato e trattano gli
italiani da vent'anni. Il genocidio culturale perpetrato nei
confronti di quattro generazioni di giovani, e di un intero popolo
rincoglionito dalle fiction e dai babbi natali sotto l'albero, con
sulle ginocchia bambini belli, biondi e con gli occhi azzurri. Il
problema è di ordine politico. Se poi ci scappa una “puttana” o
un “pidocchio” o un “buffone”, da un popolo abituato a dare
del “cornuto” all'arbitro, non conoscendone le gentile consorte,
ci può anche stare. Evviva, quindi, la pacificazione nazionale,
purché i motivi che dividono siano quelli che decide il Pdl. Così,
mentre Berlusconi si prende il merito del lavoro del governo, e
Alfano in conferenza stampa dice che lui è “contentissimo”, il
PD, tanto per non disturbare il suo vero leader, lo stesso della
destra, non va alla manifestazione della Fiom proprio sul lavoro, la
mission impossibile di LettaLetta. Cosa cazzo abbiano in testa i
dirigenti del Partito Democratico e, soprattutto, il socialista Guglielmo Epifani,
non si è ancora capito. L'unica strategia ormai chiara, è la
tendenza al martirio attraverso autocombustione che ormai, come in un
olocausto pianificato dalla storia e dai 101 zozzoni, sta dissolvendo
un partito che, per un po', è stato un sogno. LettaLetta e o' Schiattamuort Angelino
Alfano, pur di continuare a governare insieme, sono arrivati al bacio
alla francese. Dopo l'uscita di Silvio sui meriti del Pdl, i due
galletti atoni (non fanno manco chicchirichì), hanno rilasciato
interviste simultanee e in tempo reale per dire: “Noi siamo uniti più
che mai, i processi di Silvio non minacciano il governo. Il nostro
sarà pure un matrimonio di interesse nazionale, ma tranquilli,
nessuno vuole dare il Paese in mano a Grillo”. Gravissima l'assenza
del segretario dei democrat dalla manifestazione della Fiom, una
mancanza politica e un'offesa da lavare con lo strappo della tessera,
come non ricordavamo a memoria d'uomo. Così, mentre il popolo del
Pdl, segretario in testa, partecipa al comizio-golpe di Silvio a
Brescia senza che dal PD si sia levata una critica seria, i pidini si sono
ben guardati dall'aderire alla manifestazione di Landini per il
lavoro, per i lavoratori, a tutela dell'articolo 1 della
Costituzione. Ma con che faccia il PD si ripresenterà al suo
elettorato, e con che faccia affronterà i militanti incazzati
come iene maculate affamate, se non con quella che contraddistingue
il corpo umano appena sotto l'osso sacro? Di questo PD l'Italia può
fare tranquillamente a meno. Silvio no. E dove li trova quacquaracquà
simili...
sabato 18 maggio 2013
venerdì 17 maggio 2013
Dopo Brescia, Silvio scosso: annullati tutti i comizi. Zanda vuole l'ineleggibilità. E la Porcellum finisce nel mirino della Corte Costituzionale.
La
notizia è di quelle che colpiscono, considerato che viene
all'indomani della reazione feroce di Silvio alle contestazioni di
Brescia. Durante quella specie di comizio-golpe, Berlusconi aveva
detto: “Se qualcuno pensa di intimorirmi, sbaglia, perché io sono
qui e intendo restarci”. Circondato dai suoi, ma soprattutto da un
cordone “sanitario” di poliziotti e carabinieri da “Duomo di
Milano in miniatura”, il Cavaliere ha tenuto botta, ma poi, nel
chiuso delle sue stanze, è venuta fuori tutta la paura che quei
fischi e quegli insulti, avrebbero scatenato in ogni essere umano
dotato di capacità di discernere neppure troppo elevata, standard,
diremmo. Così, per non essere la causa del “morto che ci scappa”,
Silvio ha deciso, per il momento, di sospendere i comizi, tutti i
comizi, quelli previsti per le prossime amministrative e quelli ben
più “politici” della lotta alle toghe rosse. Lo ha detto Denis
Verdini, uno che basta guardarlo in faccia per iniziare a tremare, il
che è tutto dire. Evidentemente, quello che è successo a Brescia
deve aver colpito Silvio nel profondo, e non solo lui. Nonostante il
ghigno e i gesti di sfida, Formigoni e Brunetta, accolti al grido di
“ladro” e “coglione”, hanno passato un bruttissimo quarto
d'ora, e lo stesso è successo alla signora Santanchè che si è
sentita dare solo della “puttana”. Il fatto è che ieri sera, le
immagini rilanciate da Servizio Pubblico, sono essenzialmente servite
ad avvalorare la tesi che a Brescia non si sono fronteggiate due
fazioni politiche, ma due generazioni, non il M5S e Sel contro il
Pdl, ma i titolari di una rendita qualsiasi contro chi non riesce ad
avere in tasca neppure i soldi per un BigMc. E l'aria che si respira
è quella di una rivolta che non finirebbe con il lancio di monetine,
ma solo perché le monetine non ci sono. In ballo non c'è
l'abrogazione dell'Imu ma la tenuta sociale del paese, concetto che
sfugge sia a Berlusconi che a questo governo di “pacificazione”
nato per diporto. Un primo effetto positivo, comunque, il governo
LettaLetta lo ha avuto e ancora una volta, solo per le casse di
Silvio. Dopo la “pacificazione”, le imprese del Cavaliere hanno
aumentato il loro valore del 43 per cento, fatto che ha portato nelle
casse di Mediaset qualcosa come 88 milioni di euro e nel momento in
cui si parla di tagli, di “uscite protette” di lavoratori, e
dell'intenzione di Silvio di vendere “Premium”, la pay tv in
perdita secca. Le azioni Mediaset, insomma, sembrano uno yoyo, su e
giù seguendo la carriera politica del fondatore e unico
proprietario, nonostante gli incarichi ai figli, agli amici, agli
amici degli amici. Se poi come si ventila, dovesse essere nominato
senatore a vita da Napolitano come ringraziamento per aver salvato il
paese dalla catastrofe, c'è il rischio che Piazza Affari chiuda per
eccesso di rialzo. Così, mentre Silvio veleggia tranquillo nel mare
in bonaccia della pacificazione, quel monello di Zanda cerca di
disturbarlo almeno con un refolo di vento, e ritira fuori dal suo
cilindro il coniglio bianco della ineleggibilità del Re, vero leit
motiv della campagna elettorale del senatore del PD. Ovviamente la
bufera non si è scatenata su Silvio ma sul povero Zanda, che si è
visto preso a male parole non solo da quelli del Pdl, che ormai
starnazzano e basta, ma anche dai suoi stessi amici e compagni di
partito, D'Alema in testa (ma in silenzio). A fianco di Zanda, si è schierato compatto il M5S che, attraverso i suoi
portavoce, ha dichiarato all'unisono: “Bene, quando votiamo, ieri?”
La Porcellum finisce sotto la lente d'ingrandimento della Corte
Costituzionale. I giudici, finalmente, hanno deciso di buttarci
un'occhiata, di andare a vedere se per caso, quella troiata
legislativa non abbia dei motivi di contrasto con quanto stabilito
dalla nostra Costituzione. Ma la cosa che ci ha fatto enormemente
piacere, è sapere che i giudici, per un chek-up completo della
Porcellum, impiegheranno non meno di 6/7 mesi. Quelli del Pdl sono
felicissimi. Sono loro, infatti, gli strenui difensori della legge porcata, dalla quale hanno tratto, a oggi, i maggiori benefici. Se
si dovesse tornare a votare a ottobre, i pidiellini vorrebbero farlo
ancora con la summa del pensiero di Calderoli. E si sa, chi lascia la
strada vecchia...
giovedì 16 maggio 2013
Il M5S “attenzionato”, tipico per l'Italia a trazione democristiana. Intanto i veti incrociati bloccano il LettaLetta, perché non provare un ChupaChups?
Il 18
settembre del 1996, in via Bellerio a Milano, accadde che per opporsi
alla perquisizione della sede del partito, da parte della polizia
inviata dal procuratore di Verona, Papalia, Roberto Maroni, colto da
raptus, tentò di mordere il polpaccio di un agente. Nella
colluttazione, il futuro ministro dell'Interno, non riuscì ad
azzannare il poliziotto, si ritrovò con il naso rotto e una condanna
a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. La
sentenza, in secondo grado, fu ridotta a 4 mesi e 20 giorni, ma solo
perché i leghisti al governo, avevano abrogato il reato di
oltraggio. L'Italia è uno strano paese, sopporta malamente i
cambiamenti, li frena, li osteggia fino a bloccarli. È una nazione
composta da reduci degli oratori e dall'aver votato per anni
Democrazia Cristiana, dunque, con un forte senso gattopardesco: far
finta di cambiare è nel nostro dna. Perfino nelle cose di tutti i
giorni, gli italiani si dimostrano refrattari ai cambiamenti: meglio
un'amante nascosta che rompere il tranquillo menage familiare, meglio
morire di noia, piuttosto che riappropriarsi della vita muovendo il
culo da una poltrona solida, calda, accogliente, ruffiana. Così,
quando sulla scena irrompono personaggi che non esprimono gli stessi
concetti della politica corrente e imperante, qualcuno si sente
immediatamente in pericolo e aziona gli anticorpi. Accadde con la
Lega, ma quei baluba tentarono l'assalto al Campanile di San Marco
con un carrarmato acquistato direttamente alla fiera degli Obej Obej,
e perciò si beccarono l'accusa di attentato alla sicurezza dello
Stato. Sta accadendo oggi con il Movimento5Stelle, attenzionato da
polizia, polizia postale, carabinieri, guardia di finanza, corpo
forestale dello stato, polizia provinciale, vigili urbani, metronotte
e body guard delle agenzie di sicurezza private. Tutti insieme
appassionatamente, irrompono nelle sedi virtuali (difficile, non
avendone i 5S nessuna), alla Casaleggio Associati, nella cantina di
Beppe Grillo probabilmente piena di cimici, e sequestrano hard disk
sperando di trovarci dentro le prove di un colpo di stato. Poi, per
completare il giro, tirano fuori il reato di “vilipendio” al capo
dello stato che, come per i leghisti l'oltraggio, appena i grillini
saranno al potere, cancelleranno definitivamente, dando vita a un non
luogo a procedere. E tutto per sviare l'attenzione sul problema vero
che l'Italia ha in questo momento: un governo che non riesce a
compiere un passo in avanti a causa dei veti incrociati. Se non ci
riesce neppure un democristiano doc come LettaLetta, la vediamo dura
per chiunque perché, nonostante le promesse all'atto
dell'insediamento, questo governo è bloccato ancora una volta dai
guai giudiziari di Silvio. A giugno ci sarà lo stop della prima rata
dell'Imu, ma solo per la prima casa. Si pagherà invece quella sui
capannoni industriali, perché la Ragioneria dello Stato ha fatto
sapere che occorrerebbero 7 miliardi di euro per coprire le mancate
entrate. La copertura della Cig in deroga dovrebbe essere parziale,
non tutti i cassaintegrati, quindi, potrebbero ricevere l'assegno
mensile. I tagli lineari hanno colpito ancora una volta,
pesantemente, la scuola, la ricerca e la cultura, si attendono
pertanto le dimissioni di LettaLetta. A fronte dell'ennesimo dramma
recessivo di una nazione sulla via del dissanguamento, cosa fa il
Pdl? Ripropone il condono edilizio e la legge Alfano sulle intercettazioni
telefoniche. Ogni commento è superfluo, ogni considerazione
ulteriore da dementi. Però, 20 grillini stanno correndo il rischio
di essere rinviati a giudizio per vilipendio al capo dello stato.
Grillo, anche ieri, l'ha detta giusta: “Perseguitateci pure, ma
sappiate che siete seduti su una polveriera”. E tutto per salvare
Silvio Berlusconi e il suo impero. Ma possibile che nessuno si renda
conto che quando è troppo, è davvero troppo?
mercoledì 15 maggio 2013
Grillo: “O noi o il diluvio”. Analisi niente affatto azzardata, specie se Silvio per...
In
queste ore (solo un piccolo appunto per non dare sempre torto a Beppe
Grillo sulla “querelle stampa”), la Guardia di Finanza di Taranto sta procedendo a una serie di arresti eccellenti. È stato sottoposto
a custodia cautelare il presidente della provincia, Giovanni Florido,
accusato di concussione. Ai domiciliari sono stati lasciati l'ex
assessore all'ambiente, Michele Conserva e l'ex segretario, Vincenzo
Specchia. Al quarto destinatario, Girolamo Archinà, responsabile
delle relazioni istituzionali dell'Ilva, il provvedimento è stato
notificato in carcere. Letto il “lancio” su Repubblica, abbiamo
cercato di capire a quale area politica appartenesse il presidente
della provincia, ma senza risultato. Ci ha dato una mano Wikipedia,
così abbiamo appurato che Florido è un ex DS, attualmente PD, retto
da una maggioranza che va dal PD all'Udc, passando attraverso l'Idv,
Io Sud, Rifondazione Comunista, Verdi, Sinistra Unita e chi più ne
ha, ne metta. L'accusa di concussione nasconde, in termini
giurisprudenziali, un reato gravissimo: aver svenduto l'ambiente. Ma
sui giornali della cosiddetta sinistra, del partito di Florido non si
fa cenno, seguendo in questo, paro paro, quello che i giornali di
destra fanno quando (spessissimo in verità) viene beccato qualcuno
dei loro. E allora, se Beppe qualche volta tuona contro i giornalisti
birichini, non ha tutti i torti. Anche perché il M5S viene attaccato
ogni giorno sia dai giornali di sinistra che da quelli di destra. Le
ragioni sono chiare (o no?). La sinistra teme che i 5S convoglino
tutti i delusi; quelli che hanno strappato la tessera; quelli che non
sopportano questo governo assurdo nell'essenza prima ancora che nella
sostanza; quelli che si sono cordialmente rotti le palle di Renzi e
di D'Alema e non hanno nessuna intenzione di smacchiare alcunché;
quelli che si sono stancati dei compromessi (storici e non) e
dell'enfant prodige, Guglielmo Epifani, che guida il partito in
attesa del bebè Chiamparino, il fan più sfegatato di Sergio
Marchionne. Dall'altra parte ci sono i “destri”, termine che non
abbrevia “destrezza” ma solo collocazione parlamentare, i quali,
convinti che a ottobre si voti, hanno iniziato una campagna
elettorale preventiva, visto che se davvero si andasse alle urne a
breve (le sentenze contro Silvio saranno in questo fondamentali), la
partita sarebbe a due, Berlusconi vs Grillo. E il nemico, come sanno
perfettamente i divulgatori della telefonata Fassino/Consorte, si
combatte prima, praticamente nella culla. Al di là dei toni e delle
minacce, Beppe Grillo ha un mare di ragioni che qualche volta gli
andrebbero riconosciute, e che contribuiscono a farci pesare meno il
voto dato ad aprile. La più importante è quella legata proprio
all'ordine sociale, alla capacità dei 5S di riuscire a contenere
(per il momento) la rabbia di cittadini ansiosi di prendere il
forcone. Il M5S convoglia rabbia, lo sanno tutti, a partire da quelli
che hanno implorato “il comico” di non andare a Roma la sera
dell'elezione del presidente della repubblica. A Brescia, la
questione è diventata chiara, lapalissiana diremmo. Il fatto è che
non si sono scontrate solo due fazioni politiche contrapposte, ma due
generazioni, due modi di intendere la vita e la politica in maniera
diversa, due diverse esigenze di giustizia. Da una parte la giustizia
giusta, quella che si riappropria del presupposto che “è uguale
per tutti”, dall'altra una giustizia solo per i più forti, i
potenti, i corrotti e i corruttori evidentemente più furbi degli
altri e, quindi, da tutelare a prescindere. In atto non c'è solo un
conflitto generazionale di chi si è sentito scippato del futuro, ma
anche di coloro che sono stati buttati fuori dal mercato del lavoro,
di quelli che non avranno mai una pensione, dei pensionati al minimo
diventati clienti fissi delle mense della Caritas. Per costoro, Grillo
rappresenta l'ultima speranza, e se l'indignazione si ferma per il
momento ai fischi, non è detto che non possa trasformarsi a breve in
qualcosa di ben più terribile. Tempo fa, in ambienti insospettabili,
girava una specie di tacita chiamata alle armi. Qualche giornalista
un po' più attento se ne accorse e iniziò a scriverlo, ma restò
quasi un'impressione sottotraccia. La sensazione che Beppe sappia
perfettamente a che punto sia il fuoco sotto la cenere, è forse più
di una sensazione. Poi, si può giocare sulle ispezioni della Polizia
Postale alla Casaleggio Associati (e qui ci incazziamo da morire
perché il nostro furto di identità lo hanno archiviato senza aver
individuato i colpevoli), o sui rimborsi spese negati ai parlamentari
5S da un miliardario, ma resta forte la convinzione che senza il
Movimento di Grillo, oggi parleremmo di fatti molto più cruenti. E
nulla conta lo starnazzare di Brunetta in aula contro la Boldrini, e
nulla conta che Libero definisca la presidente della Camera
“inguardabile”. Dopo Fini e Casini e, ai suoi tempi la Pivetti,
parlare di presidenti inguardabili da parte dei giornali di destra ci
sembra davvero un affronto sì, ma all'intelligenza.
martedì 14 maggio 2013
Ilda Boccassini: “Berlusconi colpevole oltre ogni ragionevole dubbio”
Ieri,
subito dopo la requisitoria della berjana procuratrice aggiunta di
Milano, Ilda Boccassini, sulla nostra homepage di Facebook girava
(prontamente rimosso) il link di una pagina di destrorsi allucinante
nel titolo e nei commenti. In uno di loro, un coglionazzo con i
capelli bianchi, accusava la magistratura di essersi affidata alle
foto di Ruby realizzate con photoshop, per dimostrare
inequivocabilmente, che la nipote acquisita per legge di Mubarak, si
prostituiva. Ipotesi suggestiva, ma talmente fantasiosa, che perfino
gli house organ di Silvio, non hanno mai preso in considerazione.
Comunque, della richiesta di condanna formulata ieri dalla
Boccassini, e dai successivi commenti, spiccano due fatti, due
considerazioni che la dicono lunga sulla effettiva realtà
processuale di una storia che ci ha fatto vergognare in tutto il
mondo: sentirsi chiamare “bunga bunga” all'estero non è stato
affatto piacevole. Il primo è che il procuratore aggiunto di Milano,
ha introdotto nella requisitoria un tormentone: “Oltre ogni
ragionevole dubbio”. Una formula molto americana ma che, nelle
intenzioni della Boccassini, dovrebbe servire a scongiurare una
eventuale assoluzione per insufficienza di prove. La Boccassini ha
descritto un sistema di vita, oltre ogni ragionevole dubbio; un
gruppo di persone che provvedevano con zelo al soddisfacimento delle
esigenze sessuali del Capo, oltre ogni ragionevole dubbio;
l'esistenza di una “rete del piacere”, che faceva capo a un
casino in piena regola chiamato “Olgettina”, oltre ogni
ragionevole dubbio: Ruby minorenne che si prostituiva e lo ha fatto,
da minorenne, anche con Silvio Berlusconi, oltre ogni ragionevole
dubbio; l'ingerenza di Silvio, allora presidente del consiglio, nel
rilascio della stessa marocchina e l'affidamento, non ai servizi
sociali, ma a complici compiacenti del Capataz, dopo che la ragazza
era stata fermata per furto, oltre ogni ragionevole dubbio. Tutti
questi “oltre ogni ragionevole dubbio”, Ilda Boccassini li ha
tirati fuori per dimostrare in maniera inequivocabile, che due reati
sono stati commessi e che, contrariamente a quanto riportato oggi sul
Giornale e su Libero, la pm non ha richiesto la condanna dello stile
di vita di Silvio, ma dei reati che ha commesso e che si chiamano
“concussione” e “prostituzione minorile”. Continuare a dire
che “uno vive come meglio crede, in un sistema liberale succede
così”, come afferma Vittorio Feltri, è una verità assoluta, un
presupposto che ci sentiamo di sottoscrivere totalmente, ma, egregio
direttore, si può vivere secondo le regole di qualsiasi sistema di
esistenza terrena purché non si commettano reati punibili dal codice
penale di questa nazione, perché questa, come può capire, è
un'altra storia, oltre ogni ragionevole dubbio. Il secondo fatto importante
accaduto ieri, e oggi amplificato dai titoli dei giornali del Signore
e Padrone, è che perfino i suoi più accesi sostenitori non hanno
negato i fatti in sé, ma la pesantezza della richiesta di condanna.
Ha iniziato Ghedini e hanno finito gli esimi direttori di cui sopra.
Nessuno di loro ha detto che Silvio non ha avuto rapporti sessuali
con Ruby, ma tutti hanno riscontrato una eccessiva durezza nella
“interdizione perpetua dai pubblici uffici” e “sei anni da
quella legale”. Solo Brunetta, con il coglionazzo della nostra
pagina di FB, ha detto che è tutta una farsa e che Silvio è candido
come un giglio. Ma Renatino, si sa, è fedele nei secoli dei secoli,
proprio come un barboncino da salotto e poco più. Resta un senso di
vergogna profondo. Resta il rammarico per un popolo che ha continuato
(e continua) a sostenere e votare un signore che va con mignotte
minorenni sapendo che lo sono (sia mignotte che minorenni) e che
inventa le palle più colossali alle quali qualcuno fa finta di
credere, ma qualcun altro ci crede davvero. Per carità, lontano da noi
qualsiasi moralismo, ma già l'andare a puttane lo riteniamo un fatto
privo di senso, anche se... ma con le minorenni no, tollerare gli
abomini non è da società civile.
lunedì 13 maggio 2013
Crimi: “Silvio è un eversore”. E su Canale5 va in onda la più grande manipolazione mediatica della storia della tv.
Come
la fiction su Totò Riina. Tale e quale. Il capo dei capi è
stata la più grande fanfaronata sulla mafia che si sia mai vista in
tv. Mascherata da pseudo analisi sociologica, il tono con il quale la
fiction trattava la vicenda umana della “bestia” (una palese
contraddizione in termini) di Capaci, di Via D'Amelio, di Via dei
Georgofili, era improntato alla commiserazione giustificativa di
un'infanzia, un'adolescenza e una giovinezza trascorse fra fame e
violenza. In poche parole Totò Riina era diventato Totò Riina
perché in giovinezza gli avevano dato le tottò sul culetto dopo
aver rubato la marmellata. “Comprensivista” fino al disgusto,
quella fiction grida ancora vendetta al cospetto di Falcone, di
Borsellino e di quell'esercito di servitori dello Stato diventati
carne da macello nelle mani del boss dei boss. Il tono della
trasmissione di ieri sera su Canale5 è stato lo stesso. Comprensivo,
assolutorio, giustificativo, adulatorio, ingannevole, subliminalmente
fuorviante. Per l'occasione, Silvio ha perfino aperto alle telecamere
i luoghi segreti della sua residenza. Dopo aver tolto accuratamente
il palo della lap dance, le luci della discoteca scambiate con
candele al profumo di rosa, il guardaroba con le divise da
infermiera, poliziotta, suora e giudice, le telecamere hanno mostrato
il salotto buono di casa Berlusconi, quello in cui, ogni quindici
giorni, la compagnia di giro si riuniva per ascoltare le barzellette
sconce del Dux, le storie con Putin e Bush, rivedere i filmati dei
suoi discorsi e i viaggi all'estero, il cucù alla Merkel, il
“vuauh!” a Michelle Obama, il baciamano a Gheddafi (salvo
prenderlo per il culo per il profumo di lavanda che emanavano gli
arti del dittatore libico) e le slide dei leader della sinistra che
in questi anni Silvio ha fatto fuori. Forse accadeva anche che le
immagini eccitassero un po' non solo la fantasia del padrone di
casa, ma anche qualche altra parte del suo corpo in disfacimento, e
allora capitava che una mano sfiorasse un culo o una tetta, ma sempre
per sbaglio, così, tanto per giocare un po'. Insomma, la
trasmissione di ieri sera, alla vigilia della requisitoria di Ilda
Boccassini sul processo Ruby, è stato un colossale spot auto-assolutorio, un modo per dire alla gente: “Questa è la realtà. Non ho
fatto nulla. Sono un perseguitato. Io vi ho fatto vedere tutto, la
Boccassini cosa potrà mai mostrarvi se non il nulla?” E la gente
gli crede. Il 30 per cento dell'elettorato gli crede ancora e,
assurdità galattica, ancora lo vota. Ma mica finisce qui. In attesa
della requisitoria della giudice, gli house organ sono scesi
pesantemente in campo con una campagna di disinformazione come non la
si era mai vista. E sono arrivati al punto in cui hanno elaborato la
teoria che l'unico che ama e rispetta le donne è Silvio, perché
quelli, e quelle, della sinistra, le donne le disprezzano e basta.
“Donne che odiano le donne”, ha titolato oggi il Giornale,
parlando della presunta aggressione verbale di Laura Boldrini contro Paola Ferrari, dell'accanimento di Ilda Boccassini nei confronti di
Santa Maria Goretti-Ruby e degli insulti dei manifestanti anti-Silvio
di Brescia contro la Santanchè e la Brambilla. Il fatto è, senza
fare battute fuori luogo, che se uno può dare del “testa di cazzo”
a Brunetta, non si capisce la ragione per la quale non possa farlo
nei confronti di, una a caso, Daniela Santanchè. Ma che bisogna
premettere “signora”? Alla fine sempre di testa di cazzo si
tratta, signora o meno.
Come il PD riesca a governare con simili
figuri non si sa. I tempi che viviamo ci stanno insegnando che la
dignità è veramente una gran puttana, perennemente in vendita al
miglior offerente. Se n'è accorto anche Vito Crimi che sempre ieri, da
Lucia Annunziata, ha accusato apertamente Silvio di eversione. “La
manifestazione di Brescia – ha detto Crimi – è stato un vero e
proprio atto eversivo”. Forse questa è la ragione per la quale i
grillini bresciani, insieme ai giovani dei centri sociali, hanno
pensato che occorreva farlo sapere anche a Silvio. L'uscita
improvvida di Berlusconi sulle analogie fra il suo caso e quello di
Enzo Tortora, ha indignato la mezza Italia che sa e che ricorda.
Purtroppo quello che Silvio ha detto di Tortora non può essere
derubricato a battuta, perché fa parte di una comunicazione
pianificata scientificamente a tavolino, che prevede il ricorso
all'uso della menzogna pura, purché lo si faccia per primi. E Silvio, in
questo, è di una bravura diabolica. Sull'elezione di Guglielmo
Epifani alla segreteria del PD, non diciamo nulla anche se, dopo aver
visto D'Alema presente alla Fiera di Roma, abbiamo capito da dove venisse quel 15 per
cento di voti assembleari mancanti per l'unanimità. C'è da
segnalare che anche ieri, da più parti, comprese le magliette degli
“Occupy PD” è salita forte la richiesta di conoscere i nomi dei
101 zozzoni. Risposta non pervenuta. Che uomini, gli zozzoni del PD.
domenica 12 maggio 2013
Silvio: “Io come Tortora”. E la piazza si scatena. Alla prossima manifestazione del Pdl ci scapperà il morto.
Il
limite è stato superato. Continuare a manifestare contro la
magistratura e le sentenze contrarie a Silvio, è diventato un fatto
insopportabile. Colpisce e indigna il silenzio del PD. Colpisce e
indigna il silenzio del Presidente della Repubblica. Colpisce e
indigna, il silenzio del Presidente del Consiglio che vede il suo vice
e i ministri del suo governo, manifestare contro un organismo
autonomo dello Stato, una delle istituzioni più delicate. Ci voleva
una ministra tedesca, Iosefa Idem, ieri sera da Fazio, a ricordarlo
agli italiani distratti: “La costituzione garantisce l'autonomia
della magistratura, non c'è altro da aggiungere”, ha detto le
teutonica che ha molte più medaglie della Merkel.
Il limite è stato
superato perché ieri, a Brescia, abbiamo assistito all'ennesima
caduta dell'impero berlusconiano e dei suoi generali. Non solo
fischi, ma insulti e sberleffi, hanno accolto e accompagnato alle
loro auto personaggi inguardabili, un gruppo di quacquaracquà che
invece di vergognarsi, ha sfidato la gente con l'arroganza che ne ha sempre contraddistinto il passaggio sulla scena politica italiana. E i vari
Formigoni, Brunetta, Gasparri, Santanchè, Brambilla lo fanno, se lo
possono permettere, solo perché circondati da poliziotti e
carabinieri che, ancora per poco, riescono a garantirne l'incolumità.
Ieri, a Brescia, è andato in scena un vero e proprio psico-dramma,
con Silvio che ha avuto la faccia (quella, pur liftata, non gli
manca sicuramente), di paragonare le sue vicende a quelle di Enzo
Tortora, omettendo colpevolmente di dire che Enzo Tortora, al
contrario di lui, si è difeso “nei” processi, rinunciando
perfino all'immunità di parlamentare europeo, pur di essere assolto
“nel” processo. E tocca alla figlia di Tortora, Gaia, ristabilire
la verità, dicendo chiaro e forte che Silvio, con suo padre, non
c'entra una mazza. Ieri, a Brescia, si è superato il limite della
decenza e della vergogna, che pure dovrebbero essere sentimenti
umani. Ieri, a Brescia, si sono visti ancora una volta all'opera i
manganelli che, come sempre, sono finiti sulle teste dei
manifestanti, e non su quelle che dovrebbero essere le loro
destinazioni finali naturali, le teste di cazzo violente. Perché i
pidiellini, oltre che teste di cazzo strutturali, sono anche violenti
nei loro messaggi di disprezzo e di alterigia. Ma si sa, più uno è
nano e più s'incazza, e questo non è razzismo né denigrazione
delle razze, è solo una presa d'atto della realtà. I nani ce
l'hanno contro tutto e tutti ma, principalmente, contro la natura e
il fato. Per cui se gli si da un po' di potere... caro, carissimo De
Andrè.
Oggi, a Spineto, all'ombra dell'abazia, andrà in scena un
altro psico-dramma, quello di persone costrette a convivere sotto uno
stesso tetto, quando si prenderebbero volentieri a mazzate. Non
tutti, ovvio, perché LettaLetta, che non ha detto una parola sulla
manifestazione di ieri, è ben lieto di avere per compagno di banco
Angelino Alfano, detto anche o' schiattamuort.
In compenso sempre ieri, a
Roma, si è respirata, grazie a Nichi Vendola, un po' di aria di
sinistra, perché dalle parti della Nuova Fiera l'aria era
completamente diversa, più somigliante a quella delle assisi della
Balena Bianca che non a un'assemblea di quello che dovrebbe essere il
popolo della sinistra per vocazione. Il PD ha finalmente il suo
segretario. Guglielmo Epifani ha raccattato l'85 per cento dei voti
del parterre, ma solo perché D'Alema era impegnato a Barcellona e si
sa, quando il gatto non c'è, i 101 zozzetti ballano. Dove
vada questo PD fino a ottobre non si sa. Quello che è certo è il
fatto che a Epifani tocca un lavoro al limite del proibito. Novello
Stakanov, Guglielmo dovrà convincere nei prossimi mesi quelli che
hanno strappato la tessera del suo partito a rincollarla, almeno con
lo scotch. Non è detto che ce la faccia, ma da ex segretario della
CGIL, abituato a dialogare con le tute blu, il compito non lo
spaventa.
Grande lezione da Piergigi Bersani, che da segretario
uscente, nel suo brevissimo discorso di apertura, ha detto: “In politica funziona così: si
vince insieme, si perde da soli”. Non solo in politica, Gigi.
Fidati.
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