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giovedì 10 novembre 2016

Quella sbaciucchiona di Hillary


La signora è finta anche quando bacia, soprattutto le star dello spettacolo dopo i concerti, quando puzzano un po' di sudore. Madonna che schifo il sudore! 
Hillary recita, probabilmente è andata a scuola da Susan Strasberg e s'incazza terribilmente quando Charlotte, la figlia di Chelsea, la chiama “nonnina”.
A lei gli operai danno l'orticaria, soprattutto quelli del Wisconsin che si portano appresso l'odore mefitico di un formaggio che non sa di Camembert, ma del sudore e del sangue di chi lo ha rubato al latte. È tosta, la signora, tanto che quando Abu Bakr al-Baghdadi, tristemente noto come il califfo dell'Isis, va a Washington per perorare la causa degli oppositori a Bashar al-Assad in Siria, lei decide di finanziarlo. È tostissima la signora, soprattutto quando se la prende con quello sparatore in faccia di giornalisti che si chiama Putin, mettendo in crisi la UE con la politica degli embarghi, la UE non gli USA. A lei, così sfacciatamente borghese e così sfacciatamente legata al mondo della finanza, degli operai non frega una mazza, come non le interessa il mondo dei defraudati da una crisi che la sua parte politica ha contribuito a creare.
Obama, che non è affatto scemo, visitò perfino nei fine settimana gli stati bianchi del middlewest, dove il partito Democratico vinceva da sempre (nel Wisconsin portò addirittura Bruce Springsteen), ma dove la situazione sociale e occupazionale era esplosiva, covava sotto la cenere ma c'era. Hillary non c'è andata neppure una volta, lasciandoli a Sanders che, infatti, vinse a man bassa. A lei tronfia, piena di sé, fasciata nei suoi tailleur da ventimila dollari, stringere le mani callose degli operai dà un fastidio fisico insopportabile e gli operai l'hanno sbeffeggiata e punita non votandola.
Che la working class sia profondamente cambiata in tutto il mondo ormai è chiaro, diremmo lapalissiano. Ma che quella stessa classe lavoratrice abbia bisogno di una guida più pragmatica e meno populista è altrettanto scontato. 
Ma cosa volete che gliene freghi a Grillo dei minatori del Sulcis? O a Brunetta dei braccianti agricoli? O a Salvini dei frontalieri? Prendete Matteo Renzi, un esempio a caso. Quando visita centri produttivi, che non sono altro che le fabbriche, dice che va a far visita ai proprietari mica ai lavoratori, e questa è una differenza che si vede e si sente, soprattutto ricordando Berlinguer fuori dai cancelli della Fiat. Questa sinistra è entrata sì nelle fabbriche, ma nelle sale dei consigli di amministrazione, non nelle catene di montaggio. Poi ci dicono che la colpa è della globalizzazione, ma quale? Il presunto mercato mondiale, aperto a molti ma non a tutti, ha prodotto generazioni di instabili, pagati a voucher o in nero, destinate a non vedere mai una pensione neppure da fame. E allora, via libera a coloro che parlano alle pance e non alle teste ma non pensiate che di voi gli interessi un cazzo.

mercoledì 9 novembre 2016

Due o tre cose sulla vittoria di Trump


Se non fosse che i parallelismi con l'Italia sono evidenti, l'elezione del (non) repubblicano Donald Trump potrebbe passare come un fatto democratico normale in un paese normale. Però le cose non stanno così perché un segnale deciso e apparentemente rivoluzionario c'è stato e occorre prenderne atto. Il tycoon Donald è riuscito nell'impresa di entrare a gamba tesa nella pancia degli americani bianchi post crisi del 2007 (2008 in Europa), quelli che si sono ritrovati con in mano uno stipendio che aveva perso gran parte del suo potere d'acquisto. La middle class si è trasformata in una working class qualsiasi mentre, dall'altra parte, i molti ricchi lo sono diventati ancora di più.
Se qualcuno pensa che l'America sia New York o Washington o Los Angeles, dell'America non ha capito nulla. Gli USA sono anche quelli del “middle”, dell'Iowa e del Kentucky, del Texas e dell'Alabhama, del Tennessee e della Florida. Sono le popolazioni di questi stati che hanno pagato la crisi, che si sono stancate delle promesse di una classe politica screditata. È la gente che si è vista pignorare le case da banche fallite e salvate poi con il loro denaro da uno Stato federale incapace, che alla fine ha detto basta. Trump (non-repubblicano) è diventato il paladino della working class mentre Hillary (non-democratica) lo è stata di quella intelligentia che sposta tutto meno che i voti.
Le scarpe di Prada e le borse di Gucci fanno colpo a New York ma non nelle campagne del Tennessee, dove la rabbia tenuta sotto la cenere fino a ieri, è esplosa in tutta la sua forza distruttiva. Per assurdo, i repubblicani hanno vinto ricoprendo il ruolo dei democratici e i democratici hanno perso recitando da repubblicani: la gente ha preferito l'originale alle brutte e sbiadite copie.
Lo stesso si sta verificando in Italia e, più in generale, in Europa. Questo governo ad esempio, questa amministrazione, è votata da chi vive ai Parioli e non dai sardi dell'Alcoa o dalle periferie suburbane, la sinistra non esiste più se non quella che vive di ricordi, relegata in una sorta di riserva indiana. I diritti degli ultimi sono scomparsi ed è scomparsa quella forma di welfare vera, che ha tenuto unita una popolazione devastata dalle televisioni. In America si sta verificando quello che da noi, (forse per la prima volta abbiamo anticipato gli USA in peggio), è accaduto dal 1994 in poi. Il populismo, che è la distorsione non solo semantica del concetto di “popolare”, la sta facendo da padrone anche in America e, se Trump non dovesse riaprire le miniere in Ohio, questa elezione avrà risvolti drammatici. Il mondo, dal 2007/2008 non è stato più lo stesso. I danni che le banche americane hanno provocato, saranno assorbiti (forse) nel 2030 e, anche in quel caso, tutto sarebbe diverso. Unica consolazione (KKK a parte), è che la gente, la maggioranza silenziosa, questa volta ha parlato. Temiamo però che non ci siano più quelli disposti ad ascoltare.


venerdì 14 ottobre 2016

Perché il Nobel a Dylan mi divide a metà


Ho riletto i testi e riascoltato una buona parte della sua produzione, compreso quel Biograph che resta una preziosa sintesi del suo lavoro. L'ho amato come si amano i profeti, quelli che riescono a mostrare il mondo qual è ma, soprattutto, quello che verrà. Basta ascoltare Woody Guthrie per rendersi conto di quanto abbia influenzato, nello spunto stilistico, Dylan. E a Woody, Bob deve molto, se non tutto. Le sue canzoni le abbiamo cantate e suonate dappertutto, dalle sale da ballo, dove ci (il mio gruppo) subissavano di fischi e mormorii, ai fuochi accesi in spiaggia, di notte, al mare. Le note volavano alte come le scintille e noi eravamo felici. Quelle parole le traducemmo tutte, eravamo tre amici inseparabili e profondamente dylaniani, e quello fu l'unico modo di capirle e apprezzarle per quello che erano: quattro passi avanti rispetto a Mogol.
Il cantautorato fu un periodo fertile e noi ci permettevamo, rumorosamente, di starci dentro. Quando venne il duo Dylan/Baez ci sentimmo appagati perché anche le ragazze cantavano con noi, si era quasi rotto un tabù e il ruolo della donna nel mondo complicato della “protesta” venne sacralizzato. Gli spunti civili, sociali, politici erano quelli che ci facevano discutere prima e dopo aver ascoltato le canzoni, prima e dopo aver dato un bacio rubato sotto le stelle e l'amore libero era libero davvero. Dylan era un mito e nessuno avrebbe potuto abbatterlo. Figurava, nel nostro confuso immaginario di eroi, nella galleria dei “mostri”, di coloro che stavano contribuendo a cambiare il mondo: lui, Bob, il Che, Mao, non a caso tre lettere, anche se Martin (Luther King) ne aveva il doppio. È vero, accanto ai suoi testi, quelli dei Beatles ci facevano ridere e, anche se qualcuno poteva essere all'altezza di quelli di Dylan ne erano ancora abbastanza lontani. La sua profonda rivoluzione linguistico-musicale era innegabile, com'era innegabile la rottura di tutti gli schemi delle canzonette. Ci rendemmo conto di cosa fosse la poesia in musica, quando ascoltammo Fabrizio De Andrè e, volendo sempre approfondire, i suoi mentori, la scuola francese dei Ferré, dei Brassens, dei Brel che stavano a significare un passo in più nei confronti degli americani, l'umanesimo contro l'agro-metropolitanesimo. Nonostante tutto, nonostante Blowin in the Wind, Canzone dell'amore perduto era diventata la nostra hit.
Il mondo stava cambiando a una velocità ultrasonica. Nelle antologie scolastiche cominciavano a entrare i testi di Francesco di Giacomo del Banco insieme a quelli di Mario Luzi. In quel tempo, quando si studiava e si approfondiva, analizzare i testi dell'uno e dell'altro non era solo un esercizio di stile ma di sostanza, e tutto l'apparato critico di ciascuno di noi, subiva uno scossone tale che spesso ci tramortiva. Ma tutto era iniziato da lui, da Bob, inutile negarlo. Poi, siccome non mi pento di essere un italiano che legge, incontro Philip Roth, Murakami Aruki, Kawabata Yasunari, Sandro Penna e mi rendo conto che la letteratura è un'altra cosa. Mi commuovo e divento ebete guardandomi allo specchio. Perché il Nobel a Dylan mi divide a metà? L'ho scritto.

mercoledì 7 settembre 2016

“Non ho capito” è come “professore, ho dimenticato il quaderno a casa”


Ve le ricordate le scuse per non essere interrogati a scuola? In assenza di giustificazioni firmate da mio padre (se avesse potuto mi avrebbe piuttosto incenerito che giustificato), ne inventavo di inverosimili, a volte di inarrivabili. Con il professore di matematica poi, la mia creatività si esprimeva al massimo, fino alla morte del “terzo nonno materno” che resterà impressa nella memoria di chi assistette alla più penosa delle mie performance scolastiche. Ma allora si giocava anche sulla morte e le famiglie non erano allargate. Il professore si era ricordato della dipartita degli altri due, con il risultato che il quattro di una silente interrogazione, si trasformò in un tre perché il professor Lombardi aggiunse l'aggravante della menzogna manifesta.
I tempi, inutile negarlo, sono cambiati. Oggi si manda il professore direttamente affanculo e non c'è preside che tenga. Gli alunni sono considerati clienti di quell'immenso supermercato che è la scuola, quindi, guai a perderne uno. Ecco. La questione sta proprio nel cambiamento dell'educazione. La 'teoria Brunetta' del “sono tutti uguali” ha preso il sopravvento sulla capacità di analizzare la gravità di un fatto senza dover ricorrere al “tu hai fatto lo stesso”; ma sto parlando di te, cretino, mica del resto del mondo! Non ho mai letto, come in questi giorni, tante offese-a-prescindere sui social. Parole al vento, insulti, invettive nelle quali il termine “ladro” è il più benevolo, auguri di morti istantanee, aids dilagante e terremoti ad personam, mentre il tema in discussione è solo uno.

Il caso è quello della Raggi e di Roma, dei non so e dei distinguo, della lotta al coltello fra le anime dei 5s divise fra destra e sinistra (nonostante tutto la differenza esiste e si vede). Un avvocato cresciuto nello studio di Cesare Previti non può essere una mammoletta, lo dicono i fatti e lo dice la storia. Oltretutto, la candidatura Raggi non è andata giù a buona parte del Direttorio e del comitato dei garanti che la Casaleggio&Co le ha affiancato. Questa storia sembra più un regolamento dei conti interno che una lotta per tenere la barra dritta sui principi fondanti lo stesso Movimento. Di Maio sapeva tutto ma ha taciuto, lo dicono le email pubblicate (chissà come) dal Messaggero. Sapeva ma “ho capito male”, è la tattica per far continuare a spiegare la lezione dal professore e non passare all'interrogazione. Ci si metteva d'accordo: io lo dico due volte, tu tre. L'ora passava e avevamo sfangato il match a due. Ora il problema è quello di chiedere scusa. I 5s si sa, sono delle personcine educate: mai un insulto, mai una parola sopra le righe, mai un vaffa che sia uno. Per cui il problema si risolve chiedendo pubblicamente scusa quando per gli altri si invoca la morte civile perenne. È questo doppiopesismo che annoia e sconcerta. È quello di ritenersi puri quando puri non lo si è, visto che la verginità si è persa quando ci si è seduti a Montecitorio. Non sono del PD, non sono un meno-male-che-Silvio-c'è, non sono un radical chic con la bandiera rossa e, a mio assoluto demerito, posso dire di essere tornato a votare proprio per dare la mia ics a Grillo. È subito dopo che ho dato ragione a Muzio Scevola. Come? Non sapete chi è? Cazzi vostri.

lunedì 29 agosto 2016

Questo strano post di fine estate



A volte il mondo non gira per il suo verso naturale ma va all'incontrario, come il treno di Paolo Conte. Un movimento che ai più appare impercettibile, ma un occhio e un cuore attento lo vedono, lo sentono, lo vivono. Questo è uno strano post di fine estate. Oddio fine estate mica per tutti. Io ho lavorato e quindi mi spetta almeno un giorno al mare a settembre, quando si è in pochi, quando non ci si brucia, quando i bambini stanno all'asilo e a scuola e le mamme non urlano, quando l'extracomunitario lo fermi tu e in cinque minuti ti racconta la sua vita per un accendino. Il mare di settembre è una favola. Dove vado io poi, la favola la vivi insieme ai gabbiani e la mente si libera di tutti gli orpelli e i luoghi comuni che ti hanno reso invivibile l'estate affollata e caciarona che hai appena visto scorrere. Le scosse di terremoto che continuano a un ritmo decisamente insopportabile, ti scuotono un po', poi pensi alla gente del piceno e del reatino e ti dici che va bene così, che poteva andar peggio, che puoi continuare a cantare Azzurro finché il cielo lo è. Anche questa estate ho vissuto sentendomi accerchiato dall'imbecillità, a questo punto penso sia un vezzo ma non lo è, è semplicemente la realtà. Sono circondato da menti sottilissime che scendono talmente tanto in profondità (parlo di pensieri), che corrono il rischio di affogare nella vasca da bagno. Da gente che si definisce “strana” e mentre te lo dice raggiunge l'orgasmo perché “famolo strano” non è solo una battuta di Carlo Verdone. Da accattoni della cultura che come la nominano, fanno la boccuccia a culo di gallina, veri e propri sfigati della rincorsa a capire. Da quelli che capiscono tutto loro, fanno tutto loro, riparano tutto loro e ricordano Berlusconi e il “ghe pensi mi”, esseri onnipotenti che avrebbero bisogno di due calci nel culo. Da quelli che leggono un romanzo e quando gliene chiedi la trama non ricordano neppure l'autore, l'ambientazione, almeno il nome del personaggio principale. Da quelli che si incasinano la vita come se la vita non lo fosse già di per sé, e inventano storie parallele, mondi paralleli, mali paralleli, esistenze parallele, spiagge parallele perché in questo non sanno proprio viverci. E' uno stupido post di una stupida fine estate. Meno male che ci sono le nuvole e a settembre sarà possibile inseguirne un po'. Le nuvole, cari amici e semplici conoscenti, non mentono mai, non fanno domande, non pretendono risposte.

lunedì 22 agosto 2016

C'è chi dice no (e spinge violentemente a votare sì). Baffetto all'attacco


Il Presidente del consiglio dovrebbe mettere mano quanto prima alla sua squadra di comunicatori i quali, poverini, non ne hanno azzeccata una e continuano a farlo. Sbagliare è umano, perseverare democristiano, cambiano i tempi, cambiano i proverbi ma i suoi ghostwriter balbuzienti dovrebbero capire che al di là delle parole occorrono i contenuti, altrimenti si bluffa e si rende un pessimo servizio al committente. Trump, ad esempio, ne ha fatto fuori una decina. Il suo caso però, è quasi disperato; come si fa a nascondere un debito d'impresa di 650 milioni di dollari dopo aver “comunicato” al mondo di essere il più grande uomo d'affari? E come si fa a nascondere di aver fatto ricorso ai nemici storici per qualche email in più? E come si fa a chiedere il voto agli afroamericani dopo averli picchiati brutalmente ai suoi comizi? Ci vorrebbe un genio ma Trump, di geni, non ne ha e speriamo faccia la fine che merita: essere dimenticato al più presto dalla storia. Ma torniamo a noi. Vota no la destra berlusconiana. Silvio, che di trappole se ne intende, voleva tirarne una anche a Renzi (il Nazareno), ma gli è andata male perché non aveva previsto che una parte del suo non-partito, aveva più voglia di poltrone che di idee. Salvini e la Meloni votano no a prescindere, loro votano sì solo quando sono al governo e possono investire in diamanti, il resto è noia, compresa la politica contro i baluba quando i baluba veri li hanno in casa. Quello del M5S è l'unico no che comprendiamo. I pentastellati sentono odore di vittoria e vorrebbero che la legge elettorale restasse la stessa, quella che prevede il premio di maggioranza al partito e non alla coalizione. Vincendo il no, Renzi si indebolirebbe e anche se ha detto che si voterà nel 2018, la perdita al referendum di ottobre/novembre/dicembre rappresenterebbe un colpo di karate al collo, con tanto di strada spianata al monocolore M5S.
“Baffetto” voterà no, anche lui come Salvini e la Meloni, a prescindere. Colui che ha fatto il Presidente del Consiglio senza essere eletto (ricorda qualcuno?), che si è alleato con Kossiga e Mastella per fottere Prodi, che non ha mai digerito il PD, che ha perso tutte le elezioni alle quali ha partecipato, che aveva messo la bocca sul ministero degli esteri europeo per finire miseramente trombato, quello che si definisce il politico italiano “più intelligente di sempre”, si porta appresso talmente tanto rancore che, pur di vedere Renzi in ambasce, venderebbe perfino il suo storico risotto a Vissani. “Baffetto” è diabolico. Quando Bersani propose Prodi alla presidenza della repubblica, al telefono con Romano gli disse: “Mica si diventa presidente della repubblica così, con una nomination non concordata”. Prodi restò in Africa e i 101 zozzoni fecero il resto (leggere il libro di Occhetto, please!). Ora Baffin-Baffetto riunisce i pidini no-centrici cercando di anticipare il congresso e di dare una spallata al premier prenditutto. Dalla sua ha i nostalgici di sempre del berlusconismo, quelli che dicevano di essere contro Silvio e nello stesso momento, facevano malamente passare tutti i lodi del mondo e qualcuno in più. Baffetto definì Mediaset una “grande impresa culturale” e quella cultura ha finito per scombinare la testa di milioni di italiani, che hanno nella Sagra della polenta e nei film di Checco Zalone, i punti di riferimento più solidi.

Come? La sinistra storica? Perché esiste ancora oltre la cinta muraria di Capalbio? Gli immigrati vanno bene dappertutto meno che a casa loro. Capalbiesi si chiamano ora, non comunisti.

mercoledì 17 agosto 2016

Il grillo, i grilli, i grulli

E tutti a parlare delle vacanze di Beppe Grillo sullo yacht come se (dududum ...questa estate con me), per essere coerente (quando, dove, con chi?) avrebbe dovuto trascorrerle in un eremo camaldolese, a pane e acqua. Vediamoli, in minima parte, quelli che protestano e si indignano.
Dunque: c'è il benzinaio che allunga gli ottani con l'acqua, quello che, ditino facile, mette meno carburante di quanto richiesto (e pagato), quello che ti fa pagare un paio di tergicristalli come fossero i famosi diamanti di Tiffany. C'è l'indignato perenne, quello che tuona contro tutto e tutti salvo non pagare le tasse, farsi fare lo sconto dal dentista al quale non chiede mai la fattura, investire mezzo milione di euro (buonuscita dice lui) in bond farlocchi che diventano carta straccia. Li chiamano “risparmiatori”, mah! C'è poi l'incazzato perenne che però ha un amico infermiere, lui non fa mai la coda, se gli serve una tac gliela fanno in due giorni, altro che liste d'attesa! Poi ci sono quelli che vedono un immigrato di colore e cominciano a sbraitare. Diventano cianotici, nervosi fino al parossismo, arrivano a casa e picchiano la moglie e, se sono guardie giurate, finanzieri, militari, tirano fuori la pistola e sparano al vicino che ha il gatto antipatico. La gente, insomma, non si rende conto che quando chiede a un amico o amico degli amici, di saltare la coda, commette un atto invicile e immorale. La colpa è sempre del governo che, con la sua imperizia, causa file chilometriche. Ci sono poi gli imprenditori di nome ma non di fatto, quelli che appena finisce la stagione estiva volano alle Maldive. Peccato si siano dimenticati di pagare il personale. Ci sono i compagni-compagni, quelli che “la coerenza” è ragione di vita. Costoro sono i peggiori perché, nel chiuso dei loro circoli chic-borghesi, pasteggiano a Ferrari e ricci di mare sognando la rivoluzione. Inguaribili romantici, passata la sbornia si rendono conto che protestare tanto va bene in pubblico, in privato rimirano soddisfatti la loro busta paga da 5000 euro al mese. Ci sono quelli che protestando per le tasse eccessive, diventano addirittura comici. Orfani di Berlusconi, in possesso di un basso (o assente) senso civico, ma anche di un castello nel Trentino, non sgancerebbero un euro allo Stato neppure sotto tortura. Loro sono sempre alla ricerca di un leader politico che non gli faccia pagare le tasse: il danè è sempre il danè. Ipocriti della domenica, molti italiani dimenticano in che modo hanno accumulato le loro piccole ricchezze e si giustificano dicendo “i soldi mi servono per la vecchiaia”... minchia che vecchiaia! Grillo è andato sullo yacht per ferragosto, ha incontrato gente, ha bevuto, ha mangiato, ha parlato, digerito e probabilmente defecato. C'è qualcuno che crede che Gasparri sia stato tutto il giorno in chiesa? Ah be, sì be. Ho visto un re. 

giovedì 21 luglio 2016

Ultra

Dalla home page di Repubblica di oggi: “Ricucci, noto ultra della Roma, arrestato dalla Finanza”; “Noti ultras della nazionale di calcio, bocciano le intercettazioni telefoniche delle Olgettine”; “Ultras anarchici della Fermana arrestati per le bombe davanti alle chiese”; “Quattro medici e un'infermiera, ultras dell'Asti, arrestati per furti di medicinali”; “Arrestati due poliziotti, ultras del Palermo: falsa sparatoria per avere un premio”; “Ultra del Tirana arrestato per una sparatoria a Ravenna”; “Tredici scafisti di terra, ultras del Tripoli, arrestati in Lombardia per traffico di migranti”; “Ultras del Napoli incendiano il Parco del Vesuvio”; “Arrestato poi scarcerato ultra disoccupato del Torino per furto di dessert”; “Ultra dell'Olbia arrestato per aver picchiato un disabile”; “Ultra del Lecce arrestato per aver dato fuoco al padre della ex”. Si potrebbe continuare all'infinito. Ci mettiamo, per un breve post, nei panni del presidente della squadra di calcio della Fermana. In pochi giorni gli hanno arrestato un ultra fascista e due ultras anarchici bombaroli (non hanno capito una mazza dell'anarchia ma va bene così). In poche parole, seguendo l'ordine dei termini usati, quasi un #ultra, sembra che la volontà dei media sia quella di non sottolineare l'appartenenza ideologica e politica di chi compie misfatti, ma di identificarli semplicisticamente, usando il termine ultra: insomma, tutta colpa del calcio. Sta passando la linea secondo la quale chi tifa per una squadra, e lo fa mettendosi addosso una sciarpetta, sia potenzialmente un assassino, uno spacciatore, un violento, un pedofilo, un femminicida. È vero che certi ultras sono dei veri e propri pezzi di merda, ma da qui ad addossargli tutte le colpe del mondo ce ne corre. Sarebbe come dire: “Noto ultra dell'Ankara compie il genocidio dei dissidenti”. Un consiglio al presidente della Fermana, la sua squadra sta passando per una fucina di delinquenti, quereli qualche pressappochista della parola, farebbe un favore a tutti e soprattutto all'umanità sofferente.

giovedì 21 aprile 2016

Il caso D'Angelis/Raggi. Giornalismo 2.0? No, versione 2016 della macchina del fango

I fatti sono noti. L'Unità, organo d'informazione del PD renziano, pubblica il video di uno spot pubblicitario di Forza Italia (2008). Fra le comparse presenti nel filmato, il giornale crede di individuare Virginia Raggi, candidato 5Stelle alle amministrative romane. La Raggi smentisce con forza e, in effetti, la comparsa non è lei. L'Unità non pubblica la smentita (atto dovuto per i giornali che pubblicano notizie non vere) anzi, raddoppia e si giustifica. Il direttore D'Angelis dice, parafrasando Bogart: "Questo è il giornalismo ai tempi dei social, giornalismo 2.0". Omette per puro spirito caritatevole "bellezza", ma il senso è quello. In nessun modo, la velocità giustifica una falsità. Mai un giornalista dovrebbe pubblicare notizie non verificate, altrimenti non si parla più di giornalismo ma di "passa veline" agli ordini del leader di turno o, se si vuole, di "macchina del fango 2.0". A chiedere scusa alla signora Raggi, ha provveduto il presidente nazionale dell'Ordine, Enzo Iacopino, che ha detto: "Non lo fanno loro, chiedo scusa io alla signora Raggi. Ho esitato, è evidente, ma alla fine, pur consapevole che qualcuno si risentirà (uso un eufemismo), non sono riuscito a farmi una violenza capace di indurmi a tacere. Quanto fatto dall'Unità nei confronti di Virginia Raggi, non è informazione ma una vergogna. Sia chiaro, gli incidenti nel nostro mestiere accadono (un po' troppo spesso in verità).Ma si dimostra di avere la schiena dritta anche scusandosi, e non arrampicandosi sugli specchi contribuendo a pregiudicare la nostra già precaria credibilità".
D'accordo totalmente con il "nostro" presidente. Ci permettiamo solo un piccolo appunto. Qualcuno ha chiesto scusa al giudice Mesiano colpevole di indossare i calzini turchesi e all'ex direttore di Avvenire, Boffo, assatanato viveur omosessuale? Non vorremmo che, anche in questo caso, la colpa fosse del giornalismo 2.0, che spinse Belpietro, Feltri e Sallusti a pubblicare notizie non veritiere, cucinate per l'occasione.


giovedì 7 aprile 2016

L'agghiacciante intervista a Salvo Riina. La Vespa si è definitivamente trasformata in mosca

Alla domanda: "Cosa pensa di questa intervista?" Emanuele Schifani, figlio di Vito Schifani - un agente della scorta di Giovanni Falcone trucidata a Capaci - ha avuto un lungo momento di silenzio. Vespa, il collega Vespa, ne ha rifatta un'altra delle sue. Con la scusa del sacro, anglosassone, ferreo diritto/dovere dell'informazione, ha compiuto una delle più becere manovre di revisionismo mafioso mai fatte in Italia. Ci aveva già provato Canale 5 con "Il capo dei capi" ma, trattandosi di una fiction, la cosa passò allora in secondo piano. Ieri sera, Bruno Vespa ci ha fatto sapere, all'uscita del libro del rampollo della grande famiglia Riina, che Totò 'u curtu' era uno stinco di santo e che, il giorno della strage di Capaci, il mafioso più ricercato d'Italia e del mondo, se ne stava in pantofole a casa, a Palermo, a guardare il telegiornale e a leggere il giornale. Ma non solo, anche che lo Stato ha commesso un grandissimo errore ad arrestarlo, perché Totò, innanzitutto, era un padre. Insomma, la famiglia di quel macellaio che ha fatto sciogliere nell'acido un ragazzino, era un nucleo di brave persone intente a lavorare e andare a messa. Un lavoro pericoloso, perché con il tritolo non si scherza, e cercare di far saltare in aria lo stadio Olimpico zeppo di spettatori, una missione al di là di ogni possibilità umana ma non mafiosa. E meno male che il timer s'incantò, altrimenti staremmo qui a raccontare un'altra storia. Questa non è informazione e del figlio di Riina, che sente tanto la mancanza di un papà buono come il pane, a noi, sinceramente, non interessa una mazza. Quello che ci disturba, e pure tanto, è la colossale opera di disinformazione messa in atto da chi, in lunghi anni di carriera, ha ospitato nel suo salotto buono il fior fiore dei delinquenti, facendogli firmare anche un contratto. Ma Vespa li ha frequentati i corsi di deontologia promossi dall'Ordine?














martedì 5 aprile 2016

Perditempo, potenti, potentissimi e arroganti

Governare è maledettamente difficile, specie in Italia dove la suddivisione in "arti e mestieri" è la stessa che nel Milledugento. Gli interessi che si portano avanti, sono quelli che riguardano la nostra categoria di appartenenza; in poche parole l'interesse comune non esiste. Il popolo italiano, compreso chi scrive, è parcellizzato, una volta si diceva sclerotizzato, all'interno della propria attività lavorativa e quindi, di una personalissima categoria. Taxisti, farmacisti, notai, idraulici, medici e infermieri, pusher, agenti di pubblica sicurezza, personale ata, custodi di museo, escort, petrolieri, industriali, figli di..., imbianchini, tappezzieri, ceramisti, preti e perditempo (uno dice, che fai? Il perditempo. E già si è iscritto a una categoria), lottano con le unghie e con i denti per mantenere intatto il loro status. Guai a cercare di cambiare perché a tutti sta bene così.
Il governo? E' una porcheria se prova a toccare un privilegio consolidato nel corso di ventenni, trentenni, quarantenni e cinquantenni. Praticamente da quando l'Italia si unì (inno, alzabandiera e mano sul cuore, please).
Ultimamente, alle già mille e più categorie che compongono il nostro contesto sociale, se n'è unita una che esisteva già ma, apparentemente, senza la presunzione di dotarsi di uno statuto, un regolamento e una serie di norme attuative. Parliamo della categoria degli arroganti, quella che Treccani definisce "che tratta gli altri con insolente asprezza e con presunzione".
Direttamente proporzionale all'ignoranza, l'arroganza è immediatamente riconoscibile da chi la pratica, meno da chi si sente travolto da un mare di parole, spesso senza senso, che testimoniano solo una maggiore capacità verbale, solitamente non comprovante altrettanta professionalità e conoscenza.
I politici tutti, senza distinzione di sesso, età, appartenenza, studi primari e secondari, appartengono a questa categoria. Ma la cosa che ci fa impazzire, è quando se la attribuiscono a vicenda. Brunetta che dà dell'arrogante a Renzi è tutto da ridere, meno quando lo fa Cuperlo, perché con la sua aria da serial killer perbene, corre il rischio di sviarci. L'arroganza è quella sindrome psichiatrica che porta ad assiomi. Tutto quello che dicono è vero semplicemente perché lo dicono loro. Che poi si menta a ogni piè sospinto è un fatto che non riguarda i politici perché, domani è un altro giorno e quello che hanno detto oggi vale per oggi e non per domani.
Portatori sani della sindrome di Vercintorige, abbiamo sempre preferito i perdenti con l'onore delle armi, ai vincenti senza merito, quelli che pur di vincere pescano nel torbido, ché tanto quel pesce se lo mangeranno gli altri.
E vincere senza merito, è uno degli alibi possibili per disegnarsi addosso l'atteggiamento dell'arrogante, quell'essere viscido (e tremebondo alla prima folata di vento contro), che ti investe di parole alzando la voce perché la ragione non basta. Purtroppo, colpevole l'informazione soprattutto televisiva, l'arroganza è diventata un fenomeno senza più confini nobili, quelli delle aule parlamentari, ma mobili sì. Basta vincere, che so, le primarie del PD a qualsiasi latitudine, e ci si sente improvvisamente padreterni con il colpo in canna. Ma forse il PD è un caso a parte, perché anche quando si perdono...
Basta essere candidati sindaci, perfino di un paesello di trecento anime, e l'aspetto fisico cambia, cambiano gli atteggiamenti, cambia lo stesso rapporto con moglie o marito e figli, cambia la camicia e la cravatta, le scarpe ma soprattutto il modo di porsi. Il “io sono io e voi...” con quel che segue, diventa il motto di Cetto, buono per guardare dall'alto in basso chi su quella poltrona ti ci ha messo. Il potere logora chi non ce l'ha, ma anche chi ce l'ha (oggi) non è che stia messo tanto bene.


mercoledì 24 febbraio 2016

L'Italia dell'apparenza. Il diavolo veste sempre Prada

Se ti dicessi, “Non votiamo le tue cose perché non sono leggi ma malefatte”, e lo dicessi partendo da un principio inderogabile fatto di mani e cuori puliti, ti daremmo ragione. Anzi. Ti seguiremmo dovunque, perché sul concetto di onestà non si transige. Dicendo no a tutto e a tutti, dimostreresti in modo chiaro, alla Lapalisse, che con questa classe politica non hai e non avrai mai nulla a che spartire. Non ci crederai, ma ti daremmo ancora ragione. Non si dice sì a chi distrugge per decreto la dignità del lavoro. Non si dice sì a chi tratta i voti di Denis Verdini come una benedizione e non invece per quello che sono, escremento maleodorante. Non si appoggiano le leggi di un governo messo in piedi con chi, in questi anni, si è dato da fare con leggi e decreti per salvare il Lenone, e di qualsiasi provvedimento venga approvato se ne prende il merito restando miseramente al 2 per cento. Non ci si confonde con gentaglia e il problema non è sporcarsi le mani, ma dimostrare semplicemente coerenza.  Di tutto ciò, però, se n'è persa traccia. E allora, la simpatia che nasce spontanea con il tuo modo di voler essere duro e puro, si trasforma in rabbia e ci rendiamo conto che sei solo “chiacchiere e distintivo”. Prima te la prendi con i migranti, poi occhieggi alla mafia, poi lasci soli i tuoi adepti, poi dici che i rom ti fanno un po' schifo, poi dici di essere d'accordo con i diritti civili ma fai del tutto per segarli, dando la responsabilità, come sempre, agli altri. C'è un provvedimento da votare, si tratta di rispetto non di un subappalto dell'Anas. 
Ci sono decine di migliaia di persone in attesa che qualcuno le faccia sentire cittadini e non sottospecie umana. C'è il desiderio in questo Paese, di rompere finalmente la subalternità storica con la Chiesa. Lo dice il Papa “Non mi interessano i fatti della politica italiana” ma Giovanardi no, anche perché lui un po' Papa si sente. Anzi, un baluardo. C'è una legge, la cosiddetta Cirinnà, che è già il risultato di una mediazione a oltranza. Affermi che la voterai nella sua interezza, perché se si dovesse cambiare una virgola, tu non la voterai più. Il testo lo hai recepito in toto, nessun passo indietro quindi, e diventiamo finalmente un Paese normale. Poi, accade che il tuo programmatore preferito lasci libertà di coscienza proprio sul punto parificante della legge, quello sulle adozioni. E si comincia a sentire aria di bufala. Troppe volte hai detto sì che nel giro di una manciata di ore sono diventati no. È giusto non fidarsi, tu lo faresti? Di più. Se hai detto di voler votare la legge così com'è, perché non approvi il canguro che permetterebbe di mantenerla intatta e, successivamente, votarla come hai detto di fare? C'è qualcosa che non torna. Basta sentire il trio Lescano per rendersene conto. Dopo aver mentito spudoratamente sull'affaire Quarto, cercano di intorbidire le acque con giri di parole che non hanno senso. Fisiognomicamente glielo si legge in faccia che mentono, perché sanno di mentire, perché sono un partito normale di un Paese anormale in cui, per dirla tutta, ha vinto Alfano che ora dice di voler cambiare ancora. Eppure da vecchio democristiano dovrebbe sapere che in politica voler stravincere equivale all'inizio della sconfitta. Pensate, perfino i DC erano consapevoli che non potevano vincere su tutto. Se n'era accorto anche De Gasperi con la legge truffa, ma Alfano no. Volete sapere perché? Perché fa parte di un governo il cui leader dice che i voti sono come il denaro, non puzzano. La legge sulle unioni civili torna a essere, arrivati a questo punto, un altro esercizio di stile democristiano, quando i “titoli” dei provvedimenti erano roboanti ma dentro non c'era nulla. E, sull'apparenza, l'Italia ha costruito il suo destino. È proprio vero che il diavolo veste Prada.

lunedì 22 febbraio 2016

Noi siamo nati liberi

La questione è semplice e complessa nello stesso momento: non posso vietare a nessuno di essere se stesso. Non si tratta di giustificare gli omicidi di un serial killer o, addirittura, il genocidio. Stiamo parlando solo ed esclusivamente, della possibilità data a noi stessi e agli altri di poter vedere la luce del sole senza ostacoli artificiali. Viviamo in un paese che ha dato i natali a Niccolò Machiavelli e che, nel corso della sua storia, ha dato la possibilità alla Balena Bianca di governare 20 anni rappresentando tutti: l'ex, vero e unico Partito della Nazione, la DC. Non dobbiamo sorprenderci, quindi, se da noi si utilizzano tutte le occasioni per imporre il nostro modo di vedere le cose anche a chi delle nostre cose non frega una mazza. Chi tenta di fare ciò si definisce integralista, che è poi quello che utilizza tutti i mezzi possibili per imporre (anche con la forza), la propria visione della vita. Fin quando l'integralismo in politica si definisce con le figure spente e insignificanti di Stefano Fassina, di Carlo Giovanardi, di Angiolino Alfano detto Jolie, nessun problema. Il guaio si verifica quando si chiudono gli occhi di fronte all'ineluttabile, al rispetto dei bisogni di tutti, che poi si trasforma in rispetto e basta. "Rispetto" è un termine difficile, significa tutto e niente e perfino i mafiosi lo usano per definire gli uomini-uomini e non i quaqquaracquà. Per noi il rispetto è invece la forma primaria di convivenza, quella che si attua quando coscientemente camminiamo sotto la pioggia e tu per forza vuoi darci l'ombrello. Ma chi lo vuole il tuo ombrello, perdindirindina, rispettami, o no? Secondo qualcuno, in Italia non dovrebbe essere legge il divorzio, con buona pace delle mogli maltrattate e dei rapporti miseramente finiti: cazzo, mi sono sposato, mica sono stato condannato all'ergastolo! L'aborto: sono stata violentata ma che fa? Il figlio che sta crescendo in me è il frutto di un atto d'amore, salvo essere una suora e allora la pillola del giorno dopo va bene. L'eutanasia, che poi significa autodeterminazione: non voglio vivere come un vegetale, mi consenti di fare un viaggio di sola andata? La cremazione: se le mie ceneri non inquinano e non originano diossina, perché devo riempire centinaia di moduli e pagare fior di euro per essere disperso e togliermi dalle palle una volta per tutte? Viviamo, insomma, in un momento storico in cui nulla è ammesso semplicemente perché qualcuno si mette di traverso. Il tema delle unioni civili, ad esempio, è uno di quelli che non ci affascina. Preferiremmo discutere di Jobs Act, ma visto che non è possibile perché l'argomento è vecchio, tralasciamo. Ma ci chiediamo, e lo chiediamo ai ragionieri della politica, perché non si può vivere liberamente un amore, e perché viverlo deve significare per forza rinunciare a diritti che agli altri vengono riconosciuti? Il mondo ha fatto passi avanti da Polifemo ed è un assurdo in termini stare a limitare la libertà degli altri in nome di principi che sono solo nostri. Ma gentile Giovanardi, se lei non potrà mai amare un altro uomo a noi che ce ne importa? Stia con sua moglie e permetta a noi di vivere come meglio crediamo. In poche parole, ci rispetti. Quello che sta accadendo in questi giorni nell'aula di Palazzo Madama, è degno della Libia ma senza pistole. Due concezioni di Stato che si annullano mentre continua a vincere e a regnare il terrore dell'Isis. Ma si sa, fra i due litiganti di solito gode il terzo. Vuoi vedere che il terzo si chiama Bagnasco?

giovedì 18 febbraio 2016

I totem della destra italiota

Ed eccoli, tutti ordinatamente in fila dietro il sacro totem della destra. Che non è quella storica ma un ammasso indefinito di fasci, pseudo fasci, inter fasci, cattodem, cattopool, cattocatto e tutti accattoni.
Si stanno schierando, riacquistando forza e vigoria come se la storia non li avesse condannati, e la politica non si fosse geneticamente modificata. Sono tutti lì, alla stessa tavola elettorale, nella speranza di conquistare un punto decimale in più. Ma per far cosa? Governare un paese in piena autodistruzione, in attesa, come sempre, del Messia? No, solo per farsi i cosiddetti affari loro. Altrimenti non si capirebbe perché tutti puntano alla pancia dell'Italia e nessuno alla testa. Il cervello non c'è più, sostituito da una rete definita (questa sì) di microchip da comandare a distanza, perché un viaggio a Roma non vale più manco una messa. E anche se la messa la valeva Parigi, dopo il Bataclan neppure quello. Tante speranze deluse, dal primo Grillo al Renzi rottamatore di D'Alema (che continua a scalpitare come un incensiere imbolsito all'alba di un vecchio villaggio), e di tutta la politica che lo aveva segnato con un distintivo di Vittorio Veneto, quello dato ai reduci della Prima Guerra Mondiale. Tangentopoli ha avuto il grande demerito di affinare la corruzione e Fabio Rizzi non è che l'ultimo di una serie infinita di ladri. Insieme alla sua degna compare, Maria Paola Canegrati, taroccava perfino le dentiere. Non vorremmo che una di queste fosse capitata all'anziana signora aquilana vittima del terremoto e dentierata da Silvio. Sarebbe una beffa. E poi hai voglia di parlare di diritti civili in un paese comandato a distanza ravvicinata da Bagnasco. La velocità di comunicazione è oggi talmente elevata che il messaggio è arrivato dritto e chiaro perfino alla Casaleggio Associati, quell'azienducola che cura blog e sottoblog come fosse una clinica veterinaria e loro (i blog), animali schizofrenici. Casaleggio (sembra) ha detto ai suoi che votando la Cirinnà si sarebbe aperto un crepaccio con l'elettorato di destra. Lo scriviamo da un po' che dentro i FiveStars i fasci erano vivi e vegeti, solo un po' defilati. Ora la verità è venuta fuori e tutto il teatrino che ne è seguito, è la dimostrazione che della politica qualcuno ha imparato solo il peggio. Vecchie manovre democristiane che, in questo caso, puzzano di vecchio, di rancido, di stantio, di paraculesco, di machiavellico ma con tutto il rispetto per Niccolò. Di Monti, e della sua perorazione Merkelcentrica, parleremo un'altra volta, perché secondo il senatore a vita non-a-caso, con l'Europa non si discute, si eseguono ordini e basta. Napolitano è uno di questi esecutori a oltranza. Forse è per questo che non ne sentiamo affatto la mancanza.