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venerdì 31 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. La carne è debole. I medici, a volte, di più. Le perversioni sessuali “in”



La carne è debole. I medici, a volte, di più. Le perversioni sessuali “in”

Le devianze sessuali sono all'ordine del giorno, tanto che sembra che il famoso “famolo strano” rientri ormai a pieno titolo nella prassi quotidiana di questa società da impero in decadenza.
Ce ne sono di tutti i tipi. Sotto, nella norma, e sopra le righe le devianze legate al sesso fanno notizia solo per i nomi spesso impronunciabili che la scienza psichiatrica affibbia loro. A parte le più vergognose, tra le quali spicca la pedofilia, le altre potrebbero tranquillamente essere inserite nella guerra alla noia che il sesso fatto in modo tradizionale si porta appresso. Per commentare questa notizia (ne parliamo fra qualche riga), siamo andati a documentarci su un giornale femminile, soprattutto per capire quali siano oggi le perversioni più gettonate e, inutile negarlo, qualcuna ha turbato anche noi vecchi lupi di mare.
La sitofilia, ad esempio, è la passione per i giochi erotici a base di cibo. Ora finalmente sappiamo che fine ha fatto quella famosa zucchina lasciata sul tavolo. La maieusofilia è l'eccitazione per le donne in stato di gravidanza, considerato però che i mariti in quel periodo ricorrono alle cure di amanti meno ingombranti, potrebbe non essere male. La ierofilia è la più curiosa; lo sapete che c'è qualcuno che si eccita a contatto con gli oggetti e le immagini sacre? Ora lo sapete. Il branding è già più doloroso, si tratta di marchiare a fuoco il sottomesso per stabilirne l'appartenenza. La crematistofilia è l'eccitazione che si prova per i rapporti a pagamento. Insomma, uno beccato in compagnia di una prostituta può sempre dire di essere malato. Quella più divertente però è la onirofilia, che non è altro (lo dice la parola stessa), che il sesso fatto con persone addormentate magari perché da sveglie sarebbe impossibile. Continuiamo con la dismorfofilia, l'attrazione folle per le persone deformi, obese, anoressiche e quelle con gli arti amputati. Ultima, ma solo perché il magazine femminile non ne cita altre, la ospressiofilia che non è altro che l'eccitazione (sic!) per gli odori sgradevoli. La rivista specifica che questa particolare perversione deve essere condivisa con il/la partner, altrimenti le conseguenze potrebbero essere disastrose.
Dopo questa dotta introduzione, passiamo alla notizia che ci interessa.
A Roma, un medico è finito ai domiciliari perché accusato di abusi sessuali su alcune pazienti, detenzione di materiale pedopornografico e adescamento di minori. Il dottore trentottenne, del quale La Repubblica fornisce solo le iniziali, è L.E.A e avrebbe abusato delle sue assistite durante le sedute di cavitazione medica, tecnica usata per ridurre il grasso corporeo. Ora non sappiamo se il dottore abbia allungato le mani prima o dopo la cura, quello che sospettiamo è il fatto che quel liquido giallognolo costituito da grasso puro, che passa dal tubicino inserito nel corpo e termina la sua corsa in una tanica di plastica per rifiuti organici, lo abbia eccitato fino alle conseguenze estreme. 
In questi giorni ci stiamo rendendo conto che uno va dal medico per curarsi e invece finisce, quando va bene, sotto il treno (eufemismo) di perversi a tutto spiano.
Uno, a Milano, si diverte a spezzare femori per allenamento, un altro, a Roma, raggiunge l'orgasmo alla vista del grasso.
Ma non è che alla fine i malati non siamo noi ma coloro che dovrebbero curarci?




giovedì 30 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. E Bob ritirò il Nobel

 E Bob ritirò il Nobel

Questa è stata una storia ad alto tasso di drammaticità, quasi a voler competere con i femminicidi a gogò, gli stalkeraggi, le risse furibonde, i pestaggi disumani, gli immigrati sepolti nel Mediterraneo, le migliaia di cittadini inermi vittime dell'Isis e i ragazzini e le ragazzine bullizzati.
Per mesi non abbiamo parlato d'altro e ponendoci sempre la stessa domanda, “andrà... non andrà?”, continuando a sfogliare una margherita che nel frattempo aveva perso tutti i petali, forse per questo i più poetici di noi sfogliavano le nuvole o le pagine del giornale.
Come ha detto lui, “sono meravigliato di vedere il mio nome affiancato a letterati del calibro di Rudyard Kipling, Albert Camus e Ernest Hemingway”. Che pudore e che modestia, ci siamo detti. Ma poi, le ragioni erano davvero queste, il pudore e la modestia?
Per un artista del suo calibro universale 900mila euro sono una bazzecola, la medaglia d'oro massiccio (venduta all'asta qualche anno fa per 4,7 milioni di dollari) un gradito cadeau. Certo, potrebbe permettersi una muta di corde per chitarra in più, una Honer per accompagnare Blowin' in the Wind e, volendo proprio strafare, un Nokia 3310, ma rientrerebbero nei vezzi e dei lazzi di un uomo qualsiasi e lui non lo è, qualsiasi.
Lui è il profeta, pardon il poeta, dei sentimenti universali, dei grandi ideali, delle parole portate via dal vento, della libertà e della democrazia, per non parlare dei diritti civili. Lui è stato un mito e un'icona del country-rock, il teorico dell'armonica a bocca come strumento indispensabile nello sviluppo musicale delle sue canzoni liberandola dai legacci dell'aia campagnola. Chitarrista essenziale, ha basato le sue armonie su un paio di giri di accordi, sempre quelli, buoni per tutti i testi e le sensazioni, in grado di accompagnare la sua voce nasale e mono-tono che manco Nicholas Cage.
Ebbene, ora lui ha deciso di accettare quei 900mila euro, per la serie: anche il mutuo ha le sue regole. Ma non prenderà un aereo per andare direttamente a Stoccolma, fare il discorso di accettazione del premio, intascare il dovuto e tornarsene a casetta sua, terrà due concerti in terra svedese, che poi sarebbe come ascoltare i Led Zeppelin nel Tirolo, terra dello Jodel. La Svezia, Abba a parte, ha un'idea elementare della musica. Tolte le nenie, quelle cantate in coro nelle fredde e lunghissime notti invernali, gli svedesi non fischietterebbero mai una canzone che sia una, figuriamoci Hard Rain's Gonna Fall o Like a Rolling Stones. Quindi, questi due concerti, sono stati richiesti e organizzati dopo l'assegnazione del Nobel, non prima.
Magari, sempre lui, guadagnerà di più con i due concerti che con il Nobel, ma volete mettere la poesia?





mercoledì 29 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. L'Onu e il diritto all'aborto. Nulla è come appare


 L'Onu e il diritto all'aborto. Nulla è come appare

Non sembri un refrain anche perché non è una canzone [purtroppo]. Viviamo in uno strano paese e la consapevolezza che lo sia davvero, passa attraverso le grandi e le piccole cose della vita, quegli atti e gesti stupidi che accompagnano il nostro essere cittadini appartenenti a una comunità e non a una tribù, con tutto il rispetto per le tribù.
Da sempre, dal lunghissimo potere temporale della Democrazia Cristiana, l'Italia è il paese del fatta la legge, trovato l'inganno. A volte abbiamo avuto il sospetto che l'inganno fosse nascosto addirittura nelle pieghe della stessa legge e che i legislatori DC, partito onnicomprensivo di tutte le tendenze politiche presenti sulla piazza, coscientemente prevedessero il tutto e il nulla, l'assunto e il suo contrario. Pesavano da una parte il desiderio di rendere quel potere ad libitum, dall'altra l'esigenza di pacificare e unire una nazione che ne aveva viste di tutti i colori. Come realizzare questa duplicità al meglio? Parificando di fatto le classi sociali, rendendo i ricchi un po' meno ricchi e i poveri un po' meno proletari. Così, tanto per fare un esempio, l'accesso allo studio da parte di quelle classi che non se lo sarebbero mai sognato, fu la logica conseguenza della lotta (vinta) all'analfabetismo. Arrivare alla laurea, il sogno di milioni di padri contadini e operai per i figli, diventò una realtà: l'operaio metalmeccanico poteva dire, vantandosi, di avere un figlio medico o ingegnere o avvocato o professore.
Fino a qualche anno fa, non c'era la fuga dei cervelli e tutti i professionisti trovavano lavoro in patria. Solo che in Italia il lavoro occorreva prima trovarlo poi mantenerlo, e per farlo si ricorreva al compromesso con il partito, il barone, la chiesa, la lobbie, le associazioni più o meno segrete.
Il primo giorno di un qualsiasi lavoro, i colleghi di solito chiedevano: “Chi ti ha raccomandato?” e rispondere “l'onorevole” o “il vescovo” non era uno scandalo, funzionava così. Poi, vuoi lo scorrere del tempo chiamato progresso, vuoi il numero sproporzionato dei laureati, le maglie delle raccomandazioni si sono ristrette e oggi trova lavoro solo chi supinamente accetta le regole imposte dal raccomandatore. Deve essere questa la ragione per la quale, specie nell'ambito della sanità, alcuni ruoli di peso vengono occupati da super-raccomandati che si ritrovano costretti ad accettare le linee di principio di chi li ha messi in quel posto.
Non si capisce altrimenti perché in Italia sia così alto il numero degli “obiettori di coscienza” che, introdotti come categoria in una legge (la 194/78) figlia come le altre di assurdi e antistorici compromessi, di fatto oggi ne impediscono l'attuazione. Eppure una legge dello Stato dovrebbe essere il caposaldo del nostro vivere comunitario, invece fatta la legge trovato l'inganno; inserita la categoria degli obiettori nel testo, qualcuno ha pensato di porli a baluardo della distorta idea della “salvaguardia della vita”.
La conseguenza è che se n'è accorta anche l'Onu che ha recentemente bacchettato l'Italia perché non riesce ad assicurare l'aborto legale. 
La considerazione dell'Onu parte dai dati sugli aborti clandestini che da noi, come se la 194 non fosse mai stata introdotta, sono un numero altissimo. Siccome siamo un popolo di nostalgici, a noi la figura della “mammana” fa ancora un certo effetto, che poi le donne morissero di emorragie era considerato un danno collaterale.
Le donne, come gli uomini, hanno il diritto di decidere della loro vita, e questo che rappresenta il punto centrale dei diritti umani, a volte si riduce a un optional.
Fatta la legge, trovati gli obiettori.



martedì 28 marzo 2017

Cornetto &Cappuccino. Il cuore grande di Silvio


Il cuore grande di Silvio

Per anni lo abbiamo combattuto come una piaga da lupus. Ci siamo scagliati contro di lui con una veemenza fuori da ogni umano controllo. Al sentirlo nominare ci si accapponava la pelle, e avere preso atto che nei confronti degli italiani aveva compiuto un vero e proprio genocidio culturale, ci ha spinto a criticarlo aspramente a ogni piè sospinto. La sua politica economica creativa, alla trallallà, ha ridotto questo Paese allo stremo, reso i ricchi ancora più ricchi e i poveri, poveri davvero. Sotto il suo regno, i consumi di beni di lusso sono saliti alle stelle e gli smartphone, ben più di uno a testa, hanno definitivamente rincoglionito chi stava già sulla buona strada. La distruzione sistematica della scuola pubblica, del ruolo del sindacato (toh! sembra si stia parlando di Renzi), della sanità, della cultura nuova e vecchia, dell'ambiente e dell'ecosistema passano ora in secondo piano perché Silvio è stato, ed è, un uomo dal cuore grande che più grande non si può.
Migliaia le persone da lui sistemate e beneficiate. Milioni quelle che hanno tratto vantaggio con seconde case, visite da Cartier, suv e barche delle dimensioni più disparate. Gli evasori lo hanno sempre santificato perché grazie al suo cuore e alla sua generosità, si sono potuti permettere pied-a-terre, amanti giovani e sniffate chilometriche di coca.
Di tanta generosità se ne sono accorti personaggi che, altrimenti, non sarebbero stati adatti neppure di fare i magazzinieri alla Coop: Gasparri, Bondi, Bonaiuti, Confalonieri, Dell'Utri, Brunetta, Capezzone (lo ricordate Capezzone?), Scilipoti, Razzi e tutto il parlamento forzaitaliota di questa repubblica delle banane dominate dal Dux. Perché Silvio, nel bene e nel male, è stato e resta il Dux.
Ora, al tramonto della sua vita, è stato costretto a recarsi in tribunale per difendere un amico, il talent-scout al confronto del quale le Giovani Marmotte erano dilettanti: Lele Mora.
La storia è antica, come quella delle Olgettine e della vecchia terremotata aquilana che aveva perso la dentiera. Lele Mora stava fallendo. Una vita dispendiosa e fuori da ogni schema lo stavano riducendo sul lastrico.
Tramite Emilio Fede, amico e sodale di sempre, chiese un prestito a Silvio Cuor d'Oro e lo ottenne, 2 milioni e 750 euro sull'unghia. Senonché, l'Emilio fedigrafo, se ne tenne una buona parte per sputtanarla al casinò e a Lele non restarono che le briciole.
Ma Silvio, forte del suo ruolo di pater familias, non se n'è fatto un cruccio. 
Ha detto che quello era stato un prestito a fondo perduto e che non sapeva che il fedele Emilio, avesse fatto quella manfrina per un pugno di euro.
In tribunale, l'affetto che legava Silvio a Lele è venuto fuori in tutta la sua melensa drammaticità. E le lacrime copiose hanno reso l'incontro ad alto tasso recitativo, da Actor's Studio diremmo. Uno dei protagonisti delle cene di gala di Arcore si trovava sul banco degli imputati come un qualsiasi lenone e Silvio non poteva permetterlo. Quei soldi, tanti soldi, dati a Lele Mora erano stati un gesto di generosità assoluta e totale, nessuna estorsione per carità, solo colpa di un cuore che più grande non ce n'è.




lunedì 27 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Lo “strano” prete e quelle corna un po' così


Lo “strano” prete e quelle corna un po' così

Per anni siamo stati condannati a essere come gli altri volevano che fossimo. 
Per amore di quiete, e perché le parole vuole e conformiste ci hanno dato sempre sui nervi, abbiamo nascosto nell'angolo più remoto dell'armadio tutto quell'armamentario di antichità (oggi si dice vintage) che sapientemente mixato con un tocco di modernità, contribuisce a formare il look di una persona.
Gli standard, come le divise, non ci sono mai piaciuti, eppure ci siamo adeguati con la convinzione che facendo così si accorciassero le distanze con gli altri: la normalità nella banalità. Ora, invece, rispolverati i gilet di nostro padre e qualche altro capo di vestiario ben tenuto e di tessuto vero, siamo tornati a sentirci bene, soprattutto con noi stessi.
E come noi deve pensarla don Luca Raimondi, cinquantenne parroco di tre parrocchie (la crisi devozionale è devastante), della Brianza.
In occasione della visita di Papa Francesco a Milano, e durante le messa nel Parco della Villa Reale di Monza, don Luca è stato colto dai fotografi mentre alzava l'indice e il mignolo della mano sinistra nel gesto internazional-popolare delle corna. Il fatto è che le corna non sono passate inosservate non perché rappresentassero un atto di sudditanza satanica, ma perché don Luca, con il look che indossava, sarebbe risultato un anonimo solo in mezzo a una rock band di cover Anni '70. Con in testa un cappellino multicolore e le maniche della tonaca arrotolate sulle braccia, don Luca sembrava infatti più un fan di Mick Jagger che un quieto prete della Brianza ricca e lavoratrice.
Che Papa Francesco, con il carattere che ha, potesse intonare Satisfaction ci riesce difficile da immaginare, ma che don Luca se lo aspettasse crediamo sia una ipotesi plausibile.
Quanto accaduto, e quelle maledette corna, hanno portato il povero don Luca sulle pagine dei giornali di tutta Italia. Inizialmente considerato una specie di Marilyn Manson de' noantri, è tornato a essere il bonario parroco di Bernareggio (una delle tre parrocchie) quando, a domanda, ha risposto: “La mia è stata solo una risposta scherzosa e involontaria a una signora che mi aveva chiesto il cappellino”. Il presunto scandalo è immediatamente rientrato, mentre non sono rientrate le critiche mosse al suo cappellino.
E sempre a Bernareggio, dove don Luca è amatissimo, qualche tempo fa si mise in testa di dare lezioni di sesso e sessualità agli alunni di terza media.
La ragione fu che “la sessualità è un dono, non qualcosa da evitare, che va di pari passo con la sfera affettiva". Il suo Dio, caro don Luca, gliene sarà eternamente grato.






sabato 25 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. 11 contro 1. Ai bulli piace vincere facile


11 contro 1. Ai bulli piace vincere facile

Se non fosse per un problema di età, tutti minorenni e 3 addirittura sotto i 14 anni, questo potrebbe essere l'ennesimo caso di bullismo. Invece, proprio per l'età dei protagonisti, questo assalto a un ragazzo disabile con annessa violenza sessuale, non può essere semplicisticamente derubricato nel bullismo imperante in questa scuola malata come la società.
C'è da dire che queste cose accadono purtroppo a ogni latitudine e a tutte le altezze geografiche. C'è da dire che non conta la classe di appartenenza, altrimenti la strage del Circeo non ci sarebbe stata. C'è da dire che non c'entra nulla il colore della pelle né l'odio razziale.
Però l'educazione c'entra, è un fatto incontrovertibile e le responsabilità vanno divise equamente fra le famiglie dei bulli, la scuola, la parrocchia, lo stadio, la discoteca, i luoghi, insomma, dove lo stare insieme da valore assoluto si trasforma in disvalore e la forza di pochi, pochissimi, ha la meglio sulla debolezza dei tanti, forse troppi.
Giugliano, provincia di Napoli. Undici ragazzi, diconsi undici, violentano da gennaio 2017 e per mesi un loro coetaneo che ha disturbi legati alla crescita. La vittima ha sbalzi di umore che nessuno comprende. È taciturno, pensoso, non ha i suoi soliti comportamenti, si isola sempre di più. La madre, bel coraggio signora, investiga per suo conto, spia e segue il figlio, cerca di capire perché sia cambiato.
Durante uno di questi pedinamenti, nel campetto di calcio, viene a scoprire la verità che le appare come la più cruda delle realtà. Suo figlio di 13 anni, viene ripetutamente violentato da un nugolo di ragazzini infoiati. La mamma denuncia gli aggressori ai carabinieri e otto di loro finiscono in comunità. Tre non sono imputabili, hanno meno di 14 anni.
Ora, a parte le assicurazioni del sindaco di Giugliano sulle attività che il suo comune porrà in essere per combattere il bullismo, resta l'amarissima sensazione che ancora una volta ci si perda in un mare di parole che solo in apparenza lasciano trasparire buon senso. Che, ancora una volta, le dichiarazioni, come i cordogli per qualsiasi vittima, siano solo un pannicello caldo per acquietare animi sull'orlo di una crisi di nervi. r
Definitivamente perso il senso di appartenenza alla comunità, resta lo sperdimento che ragazzini imperbi provano rispetto ai grandi fatti della vita e che il rispetto sia considerato quasi un termine obsoleto. E basta guardare attentamente la televisione per rendersi conto che di rispetto non ce n'è più, che fomentare gli animi sia il mezzo più veloce per raccattare qualche voto, che l'offesa sia il mezzo di difesa più redditizio.
I ragazzi sono sempre gli stessi, quello che è cambiato è il mondo intorno. Tutto.





venerdì 24 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Il dottor Norberto Confalonieri e il giuramento anti-Ippocrate



Il dottor Norberto Confalonieri e il giuramento anti-Ippocrate

Se c'è una cosa che ci fa letteralmente imbestialire, è il giocare d'azzardo sulla pelle dei malati. Già dare carne avariata a un bambino nella mensa scolastica, dovrebbe essere un crimine da saldare con l'ergastolo, ma lucrare indegnamente su chi ripone in te speranze di vita, è aberrante.
In Italia siamo abituati a tutto. Rubare nella cassetta delle elemosine è diventato uno sport nazionale; costruire con la sabbia invece che con il cemento armato, un vezzo che fa crollare palazzi e viadotti; turlupinare vecchi pensionati indifesi, una regola quasi fissa; perfino alterare l'angolazione degli autovelox per riscuotere multe salatissime, è diventata prassi comune; non pagare i prestatori d'opera o saldarli con i voucher, nascondendo il reale rapporto di lavoro, è ormai un'abitudine che hanno preso anche i sindacati che quei lavoratori dovrebbero tutelare; insomma, il contra-legem da noi è prassi, tanto che se tutti rispettassimo le leggi l'Italia non sarebbe più l'Italia ma l'Islanda.
In tutto questo mercimonio di regole, allora, anche “Ho rotto un femore a una vecchietta per allenarmi”, rientra a pieno titolo nelle nefandezze della vita quotidiana di un italiano che non può permettersi di andare a curarsi in SvizzeraQuando i colleghi parlavano del primario dell'ospedale Pini di Milano, dicevano: “Ora non gli resta che operare le renne di Babbo Natale”, tanti e tali erano gli interventi per applicare protesi che l'attività del dottor Confalonieri poteva essere annoverata fra quelle ad alta intensità.
E un motivo c'era. Al dottore, al quale le case farmaceutiche produttrici di protesi pagavano consulenze, vacanze esotiche e comparsate televisive, difettava un po' l'onestà. A lui non “fregava un cazzo” se la cardiologa prima di un intervento pretendesse “ulteriori accertamenti”, a lui interessava solo operare e mettere quelle maledette protesi che avrebbero procurato a lui tanto benessere (economico) e al malato un calvario. C'è da aggiungere che, il bravo dottore, lavorava anche nel pubblico, all'Ospedale di Sesto San Giovanni per cui, i danni che procurava nel privato cercava di rimediarli nel pubblico, a spese nostre.
Vabbè che ormai l'ergastolo lo danno solo a Totò Riina, Tano Badalamenti, Bernardo Provenzano e a chi non si pente, però un “fine pena mai” con un 41bis trentennale, a volte, per alcuni medici, potrebbe essere la soluzione.


giovedì 23 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Il candidato forzaitaliota Ruggeri e Faccetta Nera


Il candidato forzaitaliota Ruggeri e Faccetta Nera

È brutta per essere brutta. Difficile da ascoltare, impossibile per un normodotato cantarla. È tutta in tonalità maggiore, quella positiva, quella che dà forza e carica soprattutto agli analfabeti e ai poveri di cuore.
È la negazione del concetto stesso di musicalità. Elementare come la popolazione alla quale era destinata, Faccetta Nera non solo è una canzone orrenda, ma ricorda un periodo e una guerra pseudo-imperialista che sarebbe bene riporre nel baratro più inaccessibile della nostra indifferenza. La possono cantare, oggi, solo quelli di Casa Pound perché la loro ignoranza, storica e musicale, è indiscutibile.
In Africa, gli italiani erano comandati dal generale Rodolfo Graziani, detto il “macellaio degli arabi” e furono i protagonisti indiscussi di atrocità apocalittiche come le deportazioni, i campi di concentramento, le uccisioni di massa di libici ed etiopi. Faccetta nera fu composta da Renato Micheli e Mario Ruccione nell'aprile del 1935 e voleva celebrare l'unione del popolo abissino con quello italiano. Com'è andata lo sappiamo tutti meno che un tizio diventato famoso per la balordaggine, tanto che perfino il suo partito lo ha disconosciuto.
Il tizio si chiama Otello Ruggeri, esponente di spicco di Forza Italia  a Milano, candidato alle prossime elezioni di Sesto San Giovanni.
Qualche giorno fa, nella Caserma Montello del capoluogo lombardo, luogo dove vengono ospitati i profughi, si è svolta una festa con i ragazzi della scuola media della zona. Fra canti e balli, giochi e risate, premi poveri e nessun cotillon, i ragazzi insieme, bianchi e neri, hanno intonato Bella ciao.
Apriti cielo, il candidato Ruggeri si è sentito punto nel vivo della sua incrollabile fede nel Dux e allora, tornato a casa, ha scritto un post su Facebook nel quale condannava scandalizzato l'esecuzione di Bella ciao e auspicava il ritorno a un sano patriottismo, rappresentato in questo caso da Faccetta Nera.
Il testo del post che riportiamo sotto, è indicativo di due palesi sensibilità del candidato Ruggeri. La prima è che se fosse per lui al generale Graziani (ma lo avrà mai sentito nominare?), andrebbero intitolate vie, piazze e pure il forno crematorio del cimitero monumentale; la seconda è che i volti neri non fanno parte della sua ideale scaletta dei valori patriottici e occidentali.
Ma il padre doveva chiamarlo proprio Otello?



mercoledì 22 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Se anche Dijsselbloem perde la trebisonda: alcolisti e puttanieri

Se anche Dijsselbloem perde la trebisonda: alcolisti e puttanieri

Lo sanno tutti, nei Paesi del Sud Europa sono ancora in vigore le regole orgiastiche degli imperi in decadenza. La Grecia, alle prese con il FMI, strozzini di ogni risma, tedeschi imbroglioni che acquistano gli aeroporti per un piatto di würstel e krauti, turchi che rompono i cabasisi a ogni piè sospinto, la questione cipriota ancora aperta, invece di affrontare i problemi si ubriacano dalla mattina alla sera e trombano come ricci in calore.
Per non parlare degli spagnoli che mangiano 24 ore al giorno, bevono 36 e trombano 48. Un paese, la Spagna, sulla via del dissolvimento causa vizi. Il restare anni senza governo, ha ricreato le condizioni dell'urrutiano governo anarchico, per cui le strade, le piazze e i bar sono diventati in breve tempo veri e propri centri di perdizione.
E l'Italia non è che stia messa meglio. Da noi l'alcol è un mezzo per dimenticare chi ci ha governato e governa, le corna di moglie e marito, l'aria da Grande Bellezza che contraddistingue le serate degli italiani ricche di alcol, coca, donne, putipù e quacquaracquà, l'insostenibile rimpianto di essere stati un grande paese e ora non lo siamo più.
Quindi, tanto per arrivare al sodo, secondo il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, il più intransigente sostenitore delle regole UE sui conti pubblici e i bilanci, gli stati del Sud Europa spendono tutto in alcol e donne, facendo così intendere che greci, spagnoli e italiani sono tutti alcolizzati e puttanieri. E se lo dice lui che viene da un Paese nel quale i bar sono stati sostituiti da latterie e coffee-shop alla marjuana, c'è da crederci.
A nostra difesa potremmo dire che, secondo le statistiche più recenti, è vero che l'Italia è al 48esimo posto per la qualità della vita, ma anche che gli italiani sono i più sani del mondo e questo in chiara contraddizione con quanto affermato da Dijsselbloem che non sa, poverino, che la percentuale di cirrotici è molto più alta nei paesi del Nord Europa che in quelli del Sud.
In molti chiedono le dimissioni di Dijsselbloem, da interi governi a forze politiche di opposizione. Nessuna reazione invece dai forzaitalioti che, soprattutto sul versante donne, hanno poco da ribattere.




martedì 21 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. E chi non sta con me, peste lo colga


E chi non sta con me, peste lo colga

In fondo ha ragione lui. Con i soldi guadagnati (in nero) nei suoi spettacoli pieni di fakenews già dall'inizio, non solo si è fatto la villa e la barca, ma ha avuto il tempo di farsi il suo partito.
Con un socio in affari visionario, alla Steve Jobs tanto per intenderci ma con un pizzico di religiosità newage in più, il Nostro, delegando ad amici perfino l'acquisto del dominio web su Aruba, si è fatto strada nel putrefatto e stagnante mondo politico italiano.
Il colpo decisivo, quello che lo spinse ad andarsene per i fatti suoi, glielo diede Piero Fassino, l'ex segretario dei DS ed ex sindaco di Torino, quando gli disse: “Le primarie per lui sono chiuse, se non gli piace si faccia un partito”. Detto fatto, il partito se lo è cucito addosso e oggi è al 32 per cento, cinque punti in più dei martoriati pidini.
E ora, nonostante tutto quello che sta succedendo, compresa la riprova che i suoi non sanno governare, sta già pensando alla squadra di governo prossima futura e si è messo a incontrare esperti di politica, scienziati, economisti, tassisti, bagnini, ramai, stagnini, idraulici e imbianchini... per ora niente sagrestani perché darebbe un'idea sbagliata, confessionale diciamo.
Il caso di Genova, quello del candidato sindaco votato dalla rete e trombato da Lui stesso medesimo chiamato Garante, non è che la ciliegina sulla torta, l'esempio più eclatante del suo modo di intendere la politica: “Io sono io, voi non siete un cazzo”, tradotto e meno acculturato, “chi non è con me è contro di me”, e siccome comando io, fatevi un altro partito.
Al Nostro, della democrazia interna al partito, ops, movimento, non frega una mazza. Niente tesserati ma cittadini che hanno diritto al voto perché lo decide la Casaleggio, titolare del trattamento dati del blog, niente congresso e nessun confronto, nessuna perdita di tempo perché sempre il Nostro, decide per tutti e chi non beve con Lui peste lo colga.
È la politica liquida immaginata dal visionario di cui sopra, il modo di sopprimere ogni qualsivoglia contrasto interno e di presentarsi fuori come il portatore sano del vaffa più sentito e accalorato.
Che intorno ci siano poi mediocri che più mediocri non si può, fa parte del gioco. Da pessimo manager a Lui della classe dirigente frega nulla e che cresca men che meno. Basta ascoltarli per rendersi conto che fra sirene, chip sottocutanei, vaccini omicidi, negri truffaldini, notizie vecchie e ritrite fatte passare per breakingnews, insulti e incitamenti alla violenza (compresa quella contro i giornalisti critici), i convitati al banchetto, che paga sempre Lui, sono suppergiù delle mezzeseghe.
Li ritroveremo al comando? Probabilmente sì e a quel punto anche noi saremo costretti a credere che le sirene esistono, d'altronde siamo già certi dell'esistenza di Babbo Natale.







lunedì 20 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Massacrato sul treno. La gioventù 2.0 made in Italy


 Massacrato sul treno. La gioventù 2.0 made in Italy

La notizia fa il paio con quella del tredicenne di Mugnano, nel napoletano, picchiato violentemente dal branco, del quale il padre ha postato l'immagine con il volto tumefatto su Facebook. Bullismo allo stato puro, si dirà, eppure questo modo squadrista di comportarsi è la conseguenza del sentirsi forti con i deboli, invincibili e uomini duri se davanti non si avesse la vittima predestinata, quasi sempre inerme, di tanta inutile violenza.
Incontro quotidianamente ragazzi per strada che fingono di picchiarsi, si spintonano, si guardano in cagnesco, bestemmiano, fumano e urlano come invasati. Ma solo se sono in gruppo, perché individualmente non avrebbero il coraggio neppure di attraversare le strisce pedonali.
È il gruppo che fa la differenza e se nel gruppo c'è una ragazza, la voglia di imporsi diventa irrefrenabile e si assiste a scene con tanto di cornate dei caproni. Il ragazzo bene educato e rispettoso non ha nessuna chance, il suo ruolo è quello del tappetino, di plastica o di moquette non fa alcuna differenza.
Treno locale per Nettuno. Un gruppo di ragazzotti circonda un bengalese di 34 anni. Lo vogliono rapinare probabilmente degli oggetti che porta con sé e che gli servono per guadagnare qualche soldo. Non solo lo rapinano ma lo pestano di brutto. Fratture del naso, della mandibola e degli zigomi. Dal pronto soccorso di Anzio lo trasportano di corsa al Sant'Eugenio, dovrà essere operato. Intanto è talmente malridotto che non riesce neppure a rispondere alle domande della Polfer.
C'è l'aggravante dell'odio razziale, lo fanno capire gli stessi poliziotti, intanto il branco è fuggito e nessuno ha visto nulla.
Italiani che picchiano un italiano, italiani che picchiano uno straniero, comun denominatore: la violenza.
C'è chi, per un pugno di voti, questa violenza la cavalca senza ritegno. C'è chi, impregnato di messaggi falsi e ignoranti, manifesta a favore di un uomo che ha appena ucciso con una fucilata un ladro di sigarette. Ovviamente gli ha sparato alle spalle, un gesto vile e senza nessuna giustificazione. Poi c'è chi si suicida convinto di aver ammazzato la moglie di botte. Fortunatamente la moglie è viva ma il branco avrebbe tanto sperato in un finale diverso. Alla bara del massacratore, sempre il branco, tributa un sentito applauso e la squadra di calcio della quale è tifoso gioca con il lutto al braccio.
Il mondo va alla rovescia ed è proprio vero che a volte bisognerebbe fermarlo e scendere per riflettere un po'. Solo un po'.


sabato 18 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Matera cerca medici disperatamente. Nessuno risponde


Matera cerca medici disperatamente. Nessuno risponde


È come quando telefoni e non ti risponde nessuno. Quello squillo che il telefono ti rimanda dall'altra parte, quel fastidiosissimo tuuu, a Matera è destinato a restare senza risposta.
L'antefatto è semplice, diremmo quasi banale. L'Azienda Sanitaria Pubblica cerca 14 medici: 4 ortopedici, 4 medici per il pronto soccorso, 4 radiologi e 2 specialisti in medicina generale. Li cerca ma non li trova, un po' come la Titina. È da un anno che Pietro Quinto, direttore generale della ASM, va sbattendo la testa a destra e a sinistra, sopra e sotto i Sassi ma di curriculum e di domande di assunzione manco l'ombra.
Diciamolo, Matera non è Roma né Milano né Bologna né Torino, però nel 2019 sarà la Capitale Europea della Cultura. È anche vero che non ci si può arrivare in treno perché la stazione c'è ma mancano i binari, però è pur vero che si tratta di una delle città più belle d'Italia e del mondo, una perla che i lavori di restauro che stanno facendo per presentarla al meglio nel 2019, renderanno ancora più splendente. Uno si aspetta che con la fame di lavoro che c'è, i cervelli che fuggono all'estero (ma sono davvero tutti geniacci inarrivabili?), le facoltà di medicina che sfornano camici bianchi come fossero cornetti industriali, il bando della ASM si potesse esaurire in un giro di valzer, invece niente di tutto questo.
C'è da dire che lo stipendio non è malaccio, 3000 euro mensili netti per un totale di 74mila euro l'anno, e che questo trattamento economico è solo l'inizio. Il ruolo ricoperto sarebbe quello di dirigente medico mica di portantino frustrato dalla suora di turno eppure... la situazione è questa, non si riesce ancora a completare la pianta organica prevista dall'Azienda Sanitaria.
Giovani medici disperati che correte dietro al barone-primario di turno, prendete la vostra vita nelle mani e andate a Matera. Non c'è nulla di più appagante che recarsi dove si è accettati, accolti, coccolati, considerati dei padreterni. 
Stare in una grande città significa perdersi fra mille colleghi più assatanati di te e ricevere ogni giorno dispetti a tutto spiano e bisturate alla schiena.
Ma volete mettere la focaccia materana e il cacioricotta con la michètta?






venerdì 17 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. FI e PD, Stanlio e Ollio, Cip e Ciop


FI e PD, Stanlio e Ollio, Cip e Ciop

Dalle mie parti c'è un detto popolare che suona pressappoco così: “Siete come i ladri di Pesaro”.
La storia racconta che i signori di cui sopra, di giorno litigavano ferocemente, si prendevano a bastonate, se ne facevano e dicevano di tutti i colori. La notte, però, accomunati da un senso fortissimo di comunità, andavano a rubare insieme dimenticandosi di tutto.
Leggendo le cronache parlamentari di questi giorni, soprattutto quelle relative alle votazioni di sfiducia di Luca Lotti e di Augusto Minzolini, chissà perché l'adagio popolare si è riaffacciato alla memoria, che sarà pure senile ma che, accuratamente e quotidianamente oliata, funziona alla grande.
Salvo io che salvi tu, siamo arrivati al punto in cui la decadenza del sciur Augusto, condannato da un tribunale della Repubblica, in Senato non vale.
Lì, in quel luogo, contano i voti dei colleghi che, a seconda degli schieramenti e senza prendere minimamente in considerazione i capi d'accusa, decidono autonomamente di assolvere o condannare, poi qualcuno si lamenta se oggi furoreggia il termine “casta”. L'ex direttore del TG1, felice come una pasqua, ha però detto che si dimetterà lo stesso, magari a settembre, il giorno dopo aver maturato la pensione.
Il caso di Luca Lotti è diverso. Manovraccia strumentale dei FiveStars, la mozione di sfiducia ai suoi danni non ha ancora basi giuridiche certe, siamo ai “si dice” e, nonostante l'antipatia congenita del braccio destro del fu Matteo, onestamente non ce la saremmo sentita neppure noi di votare a favore della sfiducia.
Tanto labile e sottile è il concetto dell'avviso di garanzia, che perfino Mister Honestà ha detto che non è conditio sine qua non per dimettersi da qualsiasi posto si occupi. Peccato che, come sempre, in Italia ognuno interpreti le leggi come meglio gli aggrada e a seconda del vento che tira.
La coerenza, come sappiamo, è una gran puttana e proprio perché protagonista del mestiere più vecchio e nobile del mondo, a volte ci dimentichiamo che esiste.
La coerenza non significa cambiare idea quando si vuole, significa condurre un'esistenza contraddistinta da valori che possono essere positivi o negativi che si portano avanti dalla nascita alla morte. Nessuno mai potrà accusare Hitler di incoerenza. Mussolini sì, ma lui era italiano.



giovedì 16 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. L'informazione e le regole. Chi le rispetta e chi no


L'informazione e le regole. Chi le rispetta e chi no

Se un giorno dovessi scrivere una bufala, o una fakenews come si dice ora, sul giornale per il quale lavoro o anche su questo blog, gli interessati avrebbero tutto il diritto di querelarmi. Non solo, a seguire la mia stessa sorte sarebbe il direttore del giornale sul quale scrivo (reato di mancata sorveglianza, e il caso Sallusti condannato alla galera fa giurisprudenza), mentre per il blog di cui sono titolare, pagherei io e basta. Questa faccenda della responsabilità civile e penale editoriale vige in tutto il mondo. Negli Stati Uniti e in Inghilterra, se scrivi una bufala si viene immediatamente licenziati e trovare un altro posto di lavoro è di una difficoltà sovrumana. E di casi simili, iniziando da Peter Arnett ce ne sono stati e ce ne sono. Sarebbe il caso di tirare fuori un discorso alto come la deontologia professionale, ma non lo facciamo per amor di categoria.
Questo Paese, l'Italia mica il Perù, ha vissuto per anni di macchine del fango, quelle presunte inchieste giornalistiche che finivano per delegittimare il rivale politico, e di dossieraggi come nel caso di Marcello De Vito, candidato grillino al comune di Roma.
Insomma, la vita politica italiana è piena di menzogne, bufale, costruzioni artificiose, delegittimazioni, falsi reati spacciati per veri e quelli veri definiti “indiscrezioni”.
Così, sovvertendo qualsiasi regola di proporre informazione corretta, si viene a sapere che la slot-machine chiamata “beppegrillo.it” non è di Beppe Grillo ma di tal Emanuele Bottaro di Modena che a suo dire, non è un prestanome ma un amico del comico genovese che nel 2001 registrò il nome e il sito “per toglierlo dal mercato”. In questi anni di querele a gogò, gli avvocati di Beppe lo hanno tranquillizzato, gli hanno detto “non sei il responsabile dei contenuti” ma, essendo il titolare del blog, una qualche forma di responsabilità oggettiva dovrà pure averla, o no?
Il bello di questa storia è che neppure Beppe Grillo è responsabile dei contenuti degli articoli che compaiono sul blog che porta il suo nome, se non di quelli firmati. E gli altri? “Sul mio blog – che non è suo ma di Emanuele Bottaro – possono scrivere tutti”, dice il leader dei FiveStars.
Allora, il responsabile di quanto va ogni giorno on-line, chi è?
Secondo le carte, la piena titolarità della “linea” del blog è di Beppe Grillo, ma lo stesso Grillo ha dato delega alla Casaleggio Associati di gestire il trattamento dati che però non significa trattamento dei contenuti che, secondo un'altra scrittura, è di completa responsabilità di Grillo. Ma i dati che la Casaleggio Associati rileva dal blog, vengono gestiti dall'Associazione Rousseau che ha sede allo stesso indirizzo della Casaleggio Associati. Non basta, gli articoli non firmati da Grillo, vengono da una pagina che lo stesso Grillo ha messo a disposizione del Movimento, e chi è responsabile dei contenuti della pagina? Secondo l'atto che ne assegna la disponibilità, il responsabile è in toto Beppe Grillo. Però, dopo le ultime querele, gli avvocati di Grillo hanno detto e scritto che così non è.
La volete sapere una bella? Ma Beppe Grillo esiste o no?



mercoledì 15 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Magia e santoni a Torino. Tira più un pelo...



Magia e santoni a Torino. Tira più un pelo...

Pape Satàn, pape satàn aleppe! Una frase composta da tre sole parole, resa celebre da Dante Alighieri che la mette in bocca a Pluto all'inizio del Canto VII dell'Inferno, è l'incipit migliore per iniziare a bere il nostro cappuccino del mattino, in compagnia di maghi e creduloni.
Il fatto è che da una parte la crisi, il lavoro che non si trova, il doversi comunque arrangiare per portare il pane a casa, la voglia di protagonismo e, come in questo caso, di sesso non a pagamento, dall'altra le speranze deluse di persone che seguono quotidianamente Uomini e donne, guardano i reality, piangono con Barbara d'Urso e invidiano i vip, creano quel famoso corto circuito mentale che consente ai furbetti da quattro soldi di entrare nelle vite degli altri e farne scempio, e ai creduloni di subire passivamente ogni tipo di nefandezze.
Torino è città famosa per l'aria da esoterismo spinto che si respira nelle sue vie, nei suoi palazzi, nella stessa struttura urbanistica. Girare una thriller fiction a Torino assicura già un discreto successo a chi la interpreta e produce. Dario Argento, innamorato perso della città, ha girato nel capoluogo piemontese molti dei suoi film, da Quattro mosche di velluto grigio a Suspiria a Profondo Rosso.
Non sconvolge più di tanto, quindi, la storia di Paolo Meraglia, professore in pensione, santone in piena attività, e quella di due suoi complici, il 73enne Biagino Viotti e un giovane 19enne la cui madre (dicono) assisteva ai riti di purificazione. Il trio, che doveva essere parecchio infoiato, agiva su ragazze con problemi e, con invocazioni, strani maneggi, l'uso di qualche sostanza agevolatrice di perdita di freni inibitori, le stupravano senza vergogna. 
Il filmato hard che giravano, serviva essenzialmente come strumento di ricatto utile a costringere la vittima a darsi ancora, ancora e ancora.
Se non fosse ad alto tasso drammatico per le vittime, questa storia sarebbe adattissima per la stesura di un trattato di psico-sociologia. 
In una qualsiasi grande città del mondo vive gente disperata che, pur di trovare un momento di sollievo da una vita pesante e grama, le tenta tutte, anche quella di mettersi nelle mani di un santone che con la scusa di guarirti, approfitta di te fino a sfinirti. E poi, a 69 e 73 anni chi, se non il diavolo e una pillola blu possono darti la forza di andare con una minorenne?

martedì 14 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. In Italia neanche bidella. A Boston direttore della banca dei cervelli

In Italia neanche bidella. A Boston direttore della banca dei cervelli

Quella della dottoressa Sabina Beretta è solo una delle migliaia di storie che rendono l'italiota “fuga dei cervelli” una solida realtà, come dice una pubblicità (la rima è inevitabile e me ne scuso).
Che questo sia un Paese malato di nepotismo, familismo, regionalismo, municipalismo, politicismo, baronismo, simpaticismo, paraculismo, sessismo e generismo è cosa risaputa. Come è cosa risaputa il fatto che per avere un lavoro e non un co.co.co., bisogna avere un santo in paradiso pronto a inviare sulla terra e fra i mortali, la vecchia ma sempre attuale raccomandazione.
Quello che sconvolge è che questo viziaccio vecchio come il cucco, con il tempo si sia sempre più affinato, esattamente come la corruzione, fino a togliere di mezzo ogni merito per sublimare la conoscenza con il boss di turno o del politico rampante che fanno del clientelismo la loro arma migliore non avendone altre. Questo accade a ogni livello, per i mestieri più remunerativi e per quelli che assicurano solo un fine mese tranquillo e una pensione, e per arrivare a questo che viene considerato un privilegio, spesso si compiono veri e propri misfatti.
La dottoressa Sabina Beretta, nel 1990 una quasi trentenne catanese, le provò tutte pur di restare in Italia, compreso il concorso pubblico per un posto di bidella all'Università. “Dopo aver pulito e lavato – dice oggi la Beretta – avrei avuto il tempo di portare avanti le mie ricerche sul cervello”. Anche in quel caso non ci fu nulla da fare “Eravamo in troppi a concorrere”. Decisa a lottare per continuare gli studi sulla schizofrenia, la dottoressa fece allora domanda per una borsa di studio all'estero e le venne accolta. Terminato lo stage all'Harvard Brain Tissue Resource Center di Boston, le fu offerto il posto di direttrice che accettò e che le permise di non mettere più piede in Italia. Oggi è la responsabile del più grande centro “di cervelli” del mondo.
Non capendo nulla di cervelli (soprattutto quelli femminili), provai anche io, molto tempo fa e nel periodo più buio della mia vita, a fare un lavoro che mi permettesse di arrivare a fine mese: il magazziniere alla Coop. Ovviamente non mi presero e non perché non sapessi guidare un muletto, ma perché il mio curriculum non si fermava alla terza media. In fondo, fa benissimo la dottoressa Sabina Beretta a cercare di curare la schizofrenia.











lunedì 13 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino Alla Casa Bianca non si corre più, regna Trump il sedentario


Alla White House è tempo di golf. Sono finiti i giorni dello jogging mattutino con codazzo di agenti della sicurezza in piena crisi di fiato. Sono purtroppo finiti i tempi in cui Bill Clinton, dopo un mezzo giro a uso dei fotografi, si rifugiava da McDonald per un hamburger e quelli di George Bush che, da imbranato ex alcolista qual era, riuscì a infortunarsi perfino accennando una corsetta. A Jimmy Carter andò peggio perché lui, amante del burro di arachidi, ebbe un coccolone storico.
E che dire di Barack Obama? Lui non ne aveva bisogno tanto che, tra golf, basket e nuoto e con il fisico che si ritrova, si permetteva di farlo in camicia e cravatta costringendo il vice Biden a fare lo stesso. Terminava un incontro al vertice e Barack, invece di prendersi un caffè e riposarsi, andava a smaltire il peso di troppi pensieri con una corsa sotto il loggiato della Casa Bianca.
Con Trump tutto è cambiato. Niente jogging popolare, niente basket e football troppo neri, niente nuoto se non in ammollo nella sua piscina in Florida possibilmente con un Martini ghiacciato in mano. Chiaramente sovrappeso, Donald The Trump preferisce il golf anche perché da una buca all'altra, guida la macchinetta elettrica. Un passo a piedi? E mica è un disperato.
Tutti i presidenti Usa, per dimostrare di essere vicini alle classe popolari, erano avvezzi a correre; il jogging è lo sport più popolare, economico, salutare che esista e quindi, quale modo migliore di dimostrarsi ultimo degli ultimi? Correndo con un paio di scarpette comode e di pantaloncini corti.
Ora, onestamente, ce lo vedete voi The Trump in calzoncini corti? 
A parte che, a quel punto, verrebbero fuori due gambette scheletriche sotto un girovita imbarazzante, ma con che faccia potrebbe poi firmare i decreti anti-immigrazione, quello per l'oleodotto nella riserva dei Sioux, quello per la costruzione del muro anti-mexican, quello per il riarmo nucleare, quello per cancellare i diritti di genere acquisiti e per insignire della medaglia del Congresso il Ku.Klux.Klan?
Trump, in assetto da jogging sarebbe una macchietta peggiore di quella in giacca e cravatta. Chiedere a Melania per credere.



sabato 11 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Salvini a Napoli. Chi semina vento raccoglie pernacchie



Salvini a Napoli. Chi semina vento raccoglie pernacchie

Oggi pomeriggio Matteo Salvini, il leghista lavoratore indefesso, sarà a Napoli alla Mostra d'Oltremare per spiegare ai tremila prenotati alla sua convention il credo padano. Hai voglia a dire che la Lega è diventato un movimento nazionale solo perché non parla più di secessione ma di razzismo, il fatto è che chi nasce quadrato non potrà mai diventare tondo e la Lega, tonda, non potrà mai esserlo.
Dunque. A Napoli “comandano i centro sociali”, “lo stato non c'è”, “governa la violenza”. Presentarsi in questo modo è già segno indiscutibile di un'intelligenza fine, aperta e predisposta al confronto. Lo ha detto il sindaco De Magistris, lo hanno cantato i musicisti della città, lo hanno affermato occupando la sala-location della scorribanda leghista i ragazzi. Poi, prima la manifestazione è stata annullata, successivamente riconvocata per ordine del Viminale che ha intimato al prefetto di farla tenere regolarmente assicurando la sicurezza di tutti.
Salvini, alla chiara ricerca dell'incidente per scopi elettorali, ha tuonato sotto la felpa “A Napoli vado lo stesso, fuori o dentro la Mostra parlerò lo stesso”. Che eroe! A lui Superman fa un baffo.
Ma l'aspetto più comico di tutta la vicenda, è la presa di posizione del Movimento neoborbonico che, comunque la si voglia pensare, non è una costola dei centri sociali né può essere accusato di simpatie sinistrorse.
Da napoletani veraci, i neoborbonici hanno deciso di accogliere Matteo Salvini nello stesso modo di come Eduardo (De Filippo) accolse il duca nell'episodio del “Professore”, ricordate “L'oro di Napoli”? I nostalgici romantici della monarchia, lo hanno inciso in un file su Youtube e messo a disposizione di tutti. Nessuna parola, invettive assenti, solo una solenne ed eterna pernacchia. Alla faccia dei nordisti che sparano alle spalle dei ladri.