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giovedì 31 gennaio 2013

Feltri: “Silvio ricandida mignotte. Quasi quasi, voto Grillo”. Il Cavaliere, in rimonta, pensa al blind-trust.


Vittorio Feltri è sempre stato un personaggio atipico e un giornalista spesso barcollante. Lo stipendio è importante, si sa, però quello che è successo al Giornale da quando c’è tornato, resta un mistero. A parte le litigate pazzesche con Sallusti per il possesso dell’ufficio di Indro Montanelli, non è che al quotidiano di famiglia (Berlusconi), abbia lasciato qualche traccia o ne abbia dettato la linea. Stretto fra Alessandro Pellico” e lo showman televisivo Porro, Feltri si è ritagliato il ruolo dell’editorialista e lì sta, fermo, osservando con un piacere sottile paragonabile a uno scoop (vero), i cadaveri dei nemici scivolare sul fiume. Poi va a Radio24 e ai conduttori della “Zanzara” dice: “Le liste del Pdl mi fanno venire i conati di vomito, Berlusconi ha ricandidato i soliti, mi sono saltati agli occhi i nomi di una decina di mignotte, intesi anche come mignotti... che sono poi quelle persone che si adattano a fare qualsiasi cosa... Non è che se io faccio una scopata – conclude Feltri – allora merito un aumento di stipendio”. Magari un regalino, aggiungiamo noi, ma un aumento di stipendio o un vitalizio alla Camera o alla Regione Lombardia ci sembra proprio un'enormità. Così, dalla viva voce di Feltri, è emerso che sarebbe sua intenzione votare per Beppe Grillo. Il comico genovese lo affascina, però, potrebbe ancora turarsi “il naso e non solo” e rivotare per il suo datore di lavoro. Per chi credete voterà, alla fine, l’editorialista del Giornale? Mavalà! Il Cavaliere, in piena rimonta (perché questo è), sta pensando al colpo finale della campagna elettorale: il blind-trust su Mediaset, una piccola cessione che lo metta al riparo dalla lagna di essere l’esempio mirabile del portatore sano di conflitti d’interesse in politica. Ne ha parlato a pranzo con i figli. Siamo convinti che se non avvertisse aria di vittoria, Silvio non lo avrebbe mai fatto. E, anche se ha ricandidato la Polverini nel Lazio (“ma non poteva candidarla in Trentino”? ha detto Feltri come se i trentini fossero tutti idioti), si è tenuto stretto i collettori di voti che hanno fatto grande il Pdl. Anzi, ci si è potuti candidare solo dopo aver dimostrato, dati alla mano, di avere in pugno il numero sufficiente di elettori per andare al Senato perché, lo ripeteremo fino alla noia, la madre di tutte le battaglie si gioca proprio per un posto a Palazzo Madama. A questo tende l’appello di Piergigi a Mario Monti per la Lombardia, a questo miravano i contatti fra Franceschini e Ingroia per la Sicilia. I sondaggi dicono che la distanza fra in centrodestra e il centrosinistra sta diminuendo, che il vantaggio di Bersani su Berlusconi si sta assottigliando. Tira un’aria bruttissima e a nulla valgono le polemiche (ultime) fra Antonio Ingroia e Ilda Boccassini e a nulla, purtroppo, servirà la discesa in campo del pm di Palermo in aspettativa. Bravissimo a inserirsi nelle divisioni storiche della sinistra, Silvio sta pensando seriamente di tornare a governare, nonostante i mercati e lo spread, nonostante l’Europa sia contro di lui, nonostante Gheddafi non ci sia più e Putin si stia dimostrando per quello che è sempre stato, un dittatore. Silvio deve recuperare quel trenta per cento di pubblicità che Mediaset ha perduto da quando non è più Presidente del Consiglio, altrimenti come farebbe a pagare gli alimenti a Veronica?

mercoledì 30 gennaio 2013

Il MPS terrorizza il Pd. L’acquisto di Balotelli porta a Silvio 2 punti alle elezioni. La Lombardia è quasi sua. Avanti forconi!


Che tipo di cittadini siano i tifosi del Milan non lo sappiamo. Diciamo che entrare nella loro visione del mondo ci interessa pochissimo, fino a quando però, il loro essere cittadini rischia di far andare a puttane questo paese ancora per i prossimi 5 anni. I sondaggi dicono che l’acquisto di Mario Balotelli dal Manchester City, per 20 milioni di euro, abbia portato nelle casse elettorali del Cavaliere, quei due punti percentuali di elettori in più che dovrebbero assicurargli la vittoria in Lombardia. L’acquisto del Milan FC non fu un atto d’amore, lo sanno tutti, ma continuare a giocare sulla passione sportiva di una parte degli italiani per continuare a farsi i cazzi suoi, ci sembra una furbata da parte di Silvio, una solenne minchiata da parte di chi continuerà a votarlo. Invece di capire che per 20 anni, il Cavaliere ha tentato (spesso riuscendoci) di ammansirci a panem et circenses per far passare le leggi ad personam, la finanza ad personam, l’economia ad personam, le banche ad personam, le assicurazioni ad personam, i tutor autostradali ad personam, la tv digitale ad personam, la Costituzione ad personam e i piani regolatori ad personam, milioni di italiani lo voteranno di nuovo perché ha portato Balotelli al Milan. E poi ci chiamano “paese di pazzerelloni!”. Ma d'altronde, come dar torto a Silvio che, mentre il Pd si ritrova con un’altra banca fra le palle che gli svuota le casse elettorali, lui si assicura un pezzo da novanta del mercato calcistico e continua a far sognare gli italiani rossoneri? Che poi la Santanchè vada in televisione a dire che è vero che Mussolini è uno statista, ci cadono solamente le braccia pronte a imbracciare una lupara di nome Totò, se mai ne avessimo una a portata di mano. Ormai il ritornello della stessa canzone, degli stessi maggiordomi, dello stesso satirone della politica italiana, è partito. Nei panni del miglior Toto Cutugno, quello che ha scritto una canzone e l’ha ripetuta ad libitum per vent’anni, gli scherani di Silvio tirano in ballo il Monte Paschi anche quando si parla di disoccupazione, di tutela ambientale, di mercato mondiale, di import e di escort (non è un refuso, nda). Hanno preso per le palle Bersani e gliele stanno strizzando così forte, che al leader del Pd manca letteralmente il fiato. E poi, dopo che per tutto il ventennio dell’E.B., il Capataz si è categoricamente rifiutato di sottoporsi a un faccia a faccia televisivo (Rutelli lo sta ancora aspettando con le dieci domande da rivolgergli), oggi i suoi sottoposti accusano Bersani di fuggire a gambe levate. Paradossale ma vero. La verità dei Berluschini è esattamente quella dei Ciellini: unica e incontrovertibile. Nessun dubbio mai. Solo certezze di ripiombare nel baratro. Gli ultimi sondaggi (crediamo attendibili), dicono che il Pd tiene ma che il Pdl è risalito fino al 19,2 per cento. Anche il Professore sta salendo, mentre la dialettica claudicante, e un po’ troppo da pm, di Antonio Ingroia, rischia di far precipitare Rivoluzione Civile in quella zona di non-quorum rischiosa quanto non auspicabile. Beppe Grillo è lì. Sembra che non ci sia però c’è. Gli ultimi rilevamenti lo danno al 13 per cento, che significa comunque essere il terzo partito dell’arco parlamentare. Il quadro della situazione, a oggi, fotografato l’esistente, è il seguente: o c’è qualche inciucione pronto o a maggio si rivota. Questa volta con i forconi sotto i palazzi della casta.

martedì 29 gennaio 2013

La Merkel: “Silvio va espulso dal PPE. Magari dopo le elezioni”. Polemiche sui fotomontaggi elettorali: non si salva più nessuno.


I tedeschi sembrano un po’ così, però, porco boia, hanno una memoria da elefanti. Prendete la cancelliera Angela Merkel. Berlusconi gliene ha combinate di tutti i colori. Le ha fatto "cucù", l’ha lasciata mezzora ad aspettarlo sotto il sole, l’ha chiamata “culona inchiavabile”, l’ha accusata dello sfascio dell’Europa e dell’Euro. Non le ha detto che “puzzava” solo perché Angelina l’ha sempre tenuto a debita distanza ma, pur non reagendo mai alle offese berlusconiane, quando la tettonica (non è un refuso, nda) Cancelliera ha avuto la possibilità di sbeffeggiarlo un po’, lo ha cucinato in punta di padella, in coppia con Sarkò. Dopo averlo fatto rimbeccare dal suo portavoce a ogni uscita improvvida, Angela Merkel è passata al contrattacco e, forte della posizione che ha all’interno del PPE, ne ha chiesto, ieri, l’espulsione per la “battuta infelice” sulla bontà del fascismo. Oddio, non è stata l’unica a bacchettarlo per le manifeste simpatie mussoliniane, contro Berlusconi si è schierato praticamente il Parlamento Europeo all’unanimità, ma cosa volete che gliene freghi a Silvio? Lui va per la sua strada, e ha deciso di togliere a Beppe Grillo ogni possibilità di catturare voti dai casapoundini. Il cinismo e la spietatezza di Berlusconi ormai non fanno più notizia. Se n’è accorta la nostra amica casalinga di Abbiategrasso e un nuovo tifoso delle nostre teorie bloggesche, un filoferrotranviere di Sesto San Giovanni che, all’ingresso di casa, tiene esposto orgogliosamente il busto di Lenin, con tanto di candelina accesa davanti. Altro che venditore di sogni a poco prezzo, Silvio si sta dimostrando un prezzolato killer della politica, un attento lettore del terzo dei tre libri che ha sfogliato in tutta la sua vita, Il Principe. Un testo che campeggia sul comodino, insieme all’Elogio alla follia e l’autobiografia di Mike Buongiorno. A proposito di piccoli e grandi presunti sciacalli, di profittatori di simboli e pubblicità gratuita. Ha fatto scalpore il post di un militante del M5S, residente nella nostra città, che in un fotomontaggio ha messo la storica immagine di Anna Frank e la scritta “Anna Frank voterebbe M5S”. Ci siamo ricordati, in un flash d’annata, della campagna contro il divorzio condotta da Amintore Fanfani nel 1974. Sapete chi fece scendere in campo l’allora segretario della DC? Nientepopodimenoche Gesù Cristo, figura simbolo adottata successivamente anche dai socialisti che lo proclamarono “Primo socialista della storia”. Al post del grillino si può muovere un solo appunto, il giorno della pubblicazione, quello della Memoria. Ma se pensate al Binario 21 di Milano, il peccato del militante M5S va sicuramente derubricato fra i veniali, perché questo è uno di quei casi in cui è possibile parlare di opportunità e di buon gusto, tutto il resto è ipocrisia. Ma non è Marco Pannella che ha adottato Gandhi a modello e poi cerca di allearsi con Storace per le regionali del Lazio? A proposito di Storace. Il leader della Destra ha annunciato il taglio netto del budget a disposizione per le prossime elezioni, meno 600mila euro rispetto a quelle del 2008. Il fondo pro-elezioni della Destra passa quindi da 2milioni e 200mila a 1milione e 600mila euro. L’aspetto curioso è che i 600mila euro tagliati riguardano soprattutto le cene elettorali. Ha detto Storace: “Fa freddo, la gente non esce di casa, che cazzo la invitiamo a fare a cena?”. 600mila euro di cene. Ma quanto magnano gli eredi del Duce?

lunedì 28 gennaio 2013

Silvio vergognoso. “Mussolini fece anche cose buone”. Cosa non si fa per un pugno di voti neri.


Non è una novità. Silvio ha una profonda ammirazione per il regime fascista. Lo ha sempre detto, soprattutto in periodo elettorale quando, per assicurarsi un po’ di voti dai destrorsi, sarebbe disposto a dire che la mamma fu una buona amica di Claretta Petacci. Affermare che “a parte le leggi razziali, il fascismo fece cose buone”, significa ignorare la storia, e farlo il 27 gennaio, Giorno della memoria, è uno sfregio inqualificabile. Quando lo abbiamo ascoltato ieri al TGUno, ci stavamo preparando per andare a parlare di “Cinema e Shoa” a Colonnella, un paese del teramano governato dal centrodestra, i cui amministratori non hanno messo bocca in un incontro-dibattito dai toni non propriamente concilianti con il nazismo, tantomeno con il fascismo. Dar torto alla Storia significa negarla ed entrare a far parte di diritto di quella corrente delirante che afferma che la Shoa fu una grande messa in scena. Da una vita andiamo scrivendo che il regime di Berlusconi ha avuto una linea di continuità evidente con il regime fascista. Iniziando dalla distruzione sistematica della cultura e della scuola “comunista” fino ad arrivare al disprezzo dei beni artistici e culturali del nostro Paese, Silvio ha fatto capire da subito che per governare senza grossi fastidi, avrebbe dovuto cancellare la memoria storica italiana; in primis la Resistenza. E lo ha fatto con gli strumenti tipici dei regimi dittatoriali, la censura da una parte, il rincoglionimento popolare dall’altra. Ignorare volutamente quello che il fascismo ha fatto prima dell’introduzione delle leggi razziali, declinate per la prima volta da Mussolini, a Trieste, il 18 settembre 1938, significa ridurre a incidenti l’omicidio di Giacomo Matteotti, il carcere letale di Antonio Gramsci e dei fratelli Rosselli, le percosse finite al cimitero di Piero Gobetti. Significa, come ha detto in un’altra ferale occasione sempre Berlusconi, che i dissidenti politici mandati al confino da Benito, avevano solo goduto di un periodo di ferie suppletive in ridenti paesi della nostra stupenda nazione. Una Storia che gli italiani conoscono, ma che le nuove e nuovissime generazioni avranno difficoltà a studiare, vista l’operazione revisionista che i ministri dell’istruzione dei governi guidati da Silvio, hanno portato a termine cambiando i libri di testo a scuola. Essere costretti a tornare, ancora una volta, sulle dichiarazioni farneticanti ma “scientifiche” di Silvio, ci sembra una violenza assurda nei confronti di noi stessi prima che degli altri. Stare ancora a scrivere sulle sue scarse conoscenze storiche, ma anche sulla sua indubbia perizia politica, ci sembra stucchevole e banale. Lasciarle passare però sottosilenzio, non si può perché non riduciamo a “battuta infelice” l’uscita di Silvio al binario 21 della stazione di Milano, come ha fatto Mario Monti, evidentemente in corsa politica anche lui. Non riaffermare che l’Italia è una nazione democratica e antifascista e, cogliere ogni occasione possibile per avere qualche voto in più dai condomini delle Case Pound italiane, non solo è antistorico, ma delinquentemente immorale. Berlusconi è riuscito a sporcare il Giorno della Memoria così come aveva sporcato il 25 aprile. Ah, quel cazzo di Mausoleo di Cascella che resta desolatamente vuoto!

domenica 27 gennaio 2013

La mamma di Corona a Napolitano: “Presidente, aiuti mio figlio”. Dopo la grazia a Sallusti tutto è doverosamente lecito.


Il Presidente della Repubblica doveva aspettarselo. Dopo la grazie concessa a Alessandro Sallusti, tutto è diventato più “raggiungibile”. Perfino la richiesta di aiuto della mamma di Fabrizio Corona al figlio innocente, suona né spropositata né inopportuna. Sallusti è stato condannato nello svolgimento del suo lavoro di giornalista, Corona pure. Anzi. La differenza fra i due è che Corona vendeva fotografie vere, senza l'invasivo aiuto di Photoshop. Sallusti di notizie pro-editore ne ha rifilate a ogni piè sospinto, che poi si convincesse ogni volta che fossero vere, questo è tutto un altro discorso e bisognerebbe chiedere lumi al suo analista. Napolitano non poteva certo immaginare che la grazia concessa al direttore del Giornale, si potesse trasformare in un boomerang, invece è successo. E da quel momento tutti si sentono autorizzati a richiedere l'aiutino, proprio come nelle trasmissioni idiote di quiz e similari. Totò Cuffaro, ad esempio, potrebbe farlo, così come tutti i suoi colleghi deputati e senatori se solo decidessero finalmente di farsi arrestare. Di casi disperati, di presunti colpevoli e innocenti che affollano le nostre carceri, se ne potrebbero citare a decina. Fra redenti veri e tarocchi, basterebbe fare un'indagine seria, ad personam, per sfoltire qualche cella e non continuare a prendersi cazziatoni dalla UE. Non occorrerebbe neppure un'amnistia (generalizzante) né qualche condono spicciolo o un taglio di pena, solo un po' di buon senso. Il problema è che oggi l'opinione pubblica non sa più distinguere fra un delinquente vero e uno che criminale non lo è. Non sa più, ad esempio, perché uno spacciatore di pochi grammi di hashish stia in galera e quello che acquista pallottole per il suo fucile da caccia con il denaro pubblico, no. Non sa più, sempre ad esempio, perché un topo d'appartamento si debba fare due anni di galera e il Trota viaggi ancora a piede libero. Il berlusconismo, oltre tutti i danni provocati a ogni livello, è riuscito anche a creare una sorta di schizofrenica visione della realtà, secondo la quale i delinquenti sono figli di giudici con turbe psichiche, brave persone sottoposte però al giudizio di una magistratura liberticida e totalitaria. L'autorizzazione a delinquere, mascherata da liberismo, è diventata un assioma. Il falso in bilancio una perversione anti-economia, l'induzione alla prostituzione (anche minorile), un modo per salvare dalla strada giovani e illibate pulzelle. Perché, visti i precedenti, il Presidente della Repubblica non dovrebbe concedere la grazia a Corona, perché è uno sbruffone? Perché è ignorante come una capra tibetana e tromba come un mandrillo in crisi di astinenza? Che diavolo è, invidia? Noi ci dichiariamo favorevoli alla grazia per Corona non perché parcheggiare su un marciapiede sia un gesto da coglione punibile con una sanzione amministrativa, ma perché, se la legge è uguale per tutti, deve esserla per il fotografo dei vip come per il direttore del giornale del Vip per antonomasia. Oddio, Corona ci sta cordialmente sulle palle, ma siccome dall'altra parte c'è Sallusti, onestamente non sapremmo chi scegliere, visto che in questa storia ci sono solo Barabba.
Amici, s'è incazzato Bersani. Lo avete sentito ieri? “Chi prova a metterci in mezzo al casino del Monte Paschi lo sbraniamo”. Chiaro il riferimento al Professore e al Pdl. Ma ci siamo sommessamente domandati, con cosa Piergigi possa mai sbranare due tipi come Monti e Berlusconi, gente che non ha solo un metro di pelo nello stomaco, ma anche una solidissima corazza d'amianto anti-incendio. Silvio, piano piano, sta alzando la mira. Inizia a citare anche lui il rapporto fra il Pd e il Monte Paschi, anche se camuffato da battuta: “Se il Pd non sa gestire una banca, come fa a farlo con un intero Paese?” Qualcuno potrebbe rispondergli: “Come hai fatto tu, pensando solo ed esclusivamente ai cazzi tuoi spacciandoli per cazzi di tutti”. 

sabato 26 gennaio 2013

C’è aria di 2005. Tutti contro il Pd. Ma se uno non ha nel dna l’essere banchiere, perché insistere?


Toh, Piergigi se n’è accorto. “Ragassi, qui c’è qualcuno che non ci vuole far vincere”. Parlavamo ieri di corsi e ricorsi storici, di quanto la vicenda MPS ci ricordi quella della BNL con Fassino e Consorte. Parlavamo ieri del vezzo di certa sinistra di combattere Berlusconi sul suo stesso terreno, quello del grande impiego di mezzi finanziari in politica. Solo che il centrosinistra non ha un’azienda alle spalle con un fatturato monstre, e allora deve ricorrere a quello che ha (le Coop) o tentare di arraffare ciò che non ha, le banche. La politica, si sa, costa. Berlusconi ha fatto impazzire un circuito che era già malato, e che Tangentopoli aveva portato alla luce. Questione morale o no, la politica-spettacolo ha combinato danni su danni e a soccombere, purtroppo, è stato chi ne ha rifiutato la logica e i meccanismi. La campagna stampa contro il Pd è iniziata. Si stanno levando venti di guerra da tutti i versanti della partitica italiana, da Monti (il più feroce), al Cavaliere (ancora decisamente troppo cauto rispetto alla sua indole), da Ingroia che ha mal digerito il “niet” di Enrico Letta, a Beppe Grillo che ieri ha fatto il suo show all’assemblea degli azionisti della banca senese. Ma una differenza, rispetto al 2005, c’è, anzi, ce ne sono due. E non sono differenze da poco. Il suocero di Pierfy Casini, leader dell’Udc, tal Francesco Gaetano Caltagirone, del Monte Paschi è stato fino a ieri vicepresidente e secondo maggior azionista. Il Professore, ha candidato nella sua lista tal Alfredo Monaci, membro del cda della banca dal 2009 al 2012 (proprio con la presidenza Mussari), che attualmente ricopre l’incarico di presidente del MPS Immobiliare, per la serie: “Qua di vergini non ce ne sono”. Però, digiamolo, quello che maggiormente preoccupa i vertici del Pd, sono le voci sempre più insistenti di una maxi-tangente di 2 miliardi di euro che sarebbe stata versata per l’acquisizione di Antonveneta. Qualcuno ha ricordato che all’epoca, un tal Bruno Tabacci, mentre l’acquisizione stava volgendo al termine, si alzò da solo, e inascoltato, alla Camera, per denunciarne i lati oscuri. Poi tutto è passato sotto silenzio, fino a quando non è scoppiato lo scandalo e ci si è resi conto che MPS aveva pagato tre volte tanto il valore di Antonveneta. Da qui al dubbio di una tangente, il passo è stato brevissimo. A conferma dei sospetti di accerchiamento del suo partito, Bersani si è ritrovato anche a dover fare i conti con l’audizione del Ministro dell’Economia, Grilli, a camere sciolte, che dovrà dare la versione del Governo sulla vicenda. La richiesta di audizione, è stata avanzata dall’ex Idv Francesco Barbato, fondatore di Democrazia Liquida, dai litri di birra che trangugia quotidianamente. L’onorevole Barbato è sempre stato considerato da Gianfranco Fini una specie di clochard estemporaneo, il fatto che ora, con il Professore, ne abbia accolto la richiesta, non trasforma Barbato in statista ma da l’idea dell’aria che tira intorno al Pd. Bersani ha ragione ad essere preoccupato, lo saremmo anche noi se, dal “rischio” di vincere le elezioni, ci ritrovassimo ancora una volta con il culo per terra, a causa di una banca. Per la prima volta dobbiamo dare atto a Silvio che, per raggiungere i suoi scopi, ce la sta mettendo davvero tutta. Berlusconi non si risparmia. È presente dappertutto. Combatte come un leone, mettendo a dura prova il suo fisico e l’età non più giovane. Sta vivendo un momento di stress fortissimo e il risultato è stato il lieve malore che lo ha colpito ieri, al termine del suo 250millesimo comizio. Appoggiatosi ad Alfano, Silvio è tornato barcollante al suo posto dove, una solerte segretaria, gli ha allungato una misteriosa pillola azzurrina, quella che abbiamo cerchiato nella foto. Che il Viagra fosse anche un ricostituente per la mente, oltreché per alcune parti del corpo, lo ignoravamo.

venerdì 25 gennaio 2013

Il Pdl al 18 per cento. Ma la rimonta, dov’è? Silvio mendica un po’ di potere e Monti si smarca dall’affaire Monte Paschi: "Basta commistioni politica-banca". Sic!


Maledetti sondaggi! Non si sa se per autogasarsi o per il vezzo tipicamente silviesco di mentire senza pudore, la rimonta del Pdl, visti gli ultimi sondaggi, è di soli 2, miserrimi punti. Non sono servite le ore di tv, i maggiordomi pronti al leccaggio, gli anchorman proni, gli Arlecchini servitori di (almeno) tre padroni: Silvio è fermo al 18 per cento, dopo essere ripartito da un 16 che, secondo noi, era comunque grasso che colava. L’ultimo sondaggio della Demos, dà il Centrosinistra (Pd + Sel + Tabacci) al 38 per cento; il Centrodestra (Pdl + Lega + Fratelli d’Italia + nazifascisti) al 25; l‘Agenda Monti al 16; il Movimento 5 Stelle di Grillo al 13 per cento, e Rivoluzione Civile di Ingroia, al 4,6 per cento. C’è da dire che il sondaggio è precedente all’esplosione dell’affaire Monte Paschi i cui vertici, come tutti sanno, sono espressione del Pd. E c’è da giurare, come è già successo ieri sera da Santoro, che Berlusconi and his friends, ci giocheranno parecchio. Corsi e ricorsi storici. Nel 2005, Silvio, già morto e sepolto, venne riportato in vita dall’affaire Bnl, quello della famosa telefonata tra Fassino e Consorte “abbiamo una banca...” Nel 2013, il rischio che Berlusconi risorga grazie a un’altra banca c’è tutto. Forse questa è la ragione per la quale Bersani non si sposta da Bettola, neppure sotto la minaccia di una esplosione nucleare. Da parte del Pd, silenzio su tutta la linea. Parla Fassina e dice: “I vertici del MPS saneranno la situazione e salderanno tutti i debiti”. Come faccia Fassina a dirlo non si sa, o forse sì. La faccenda è delicata, e vede implicati un mucchio di soggetti, tecnici e politici, che vanno dal Ministero del Tesoro alla Banca d’Italia, dagli organi politici che nominarono i vertici della banca senese, fino alla Consob. Il solito guazzabuglio all’italiana, messo in piedi con il cinico scopo di non dare un nome e un cognome alle responsabilità. Oggi, il Professore dice: “Non strumentalizzate il Monte Paschi”. Bisognerebbe rivolgere la richiesta ai milioni di italiani possessori di una casa che hanno pagato l’Imu, visto che i loro soldi sono finiti direttamente nelle casse della banca che acquisì Antonveneta, pagandola il triplo del valore di mercato. L’auspicato e auspicabile (per lui) accordo con il Pd, sta spingendo Silvio a essere stranamente cauto sulla vicenda del MPS. Al contrario di quanto accadde con il duo Fassino-Consorte, la potenza di fuoco mediatica del Cavaliere stavolta dà sì la notizia, ma non con la stessa cattiveria con la quale attaccò i vertici dei Ds di allora. Silvio punta all’impunità a vita, si sa, e l’unico partito che può assicurargliela è il Pd, che in questo momento è saldamente in testa nei sondaggi, pur correndo il rischio di non governare a causa delle regole di elezione dei senatori. E sul Senato, Silvio punta tutto. Un po’ mentecatto, un po’ impaurito da un futuro che potrebbe riservargli sorprese amarissime, Berlusconi sta investendo tutte le sue forze nella campagna elettorale per i seggi di Palazzo Madama. Un pareggio sarebbe per lui una vittoria storica, molto più importante di quella che assicurò la maggioranza assoluta al suo quarto governo, finito a tarallucci, vino, Razzi e Scilipoti. E tanto è impaurito Silvio, che sta cercando di trovare un accordo con Bersani sul nome del prossimo Presidente della Repubblica. Per il momento (ma si prevedono cambiamenti di rotta, visto che Silvio si è rivolto direttamente al suo amicone Massimo D’Alema), Bersani gli ha risposto “Con lui nessun accordo”. Mentre il Professore si è limitato a un lapidario “no” che chiude la vicenda. A proposito dell’aplomb del Professore, modificatosi geneticamente in vista delle elezioni, è di pochi minuti fa la dichiarazione con la quale accusa il Pd: “Nel caso del MPS il Pd c’entra eccome! Basta commistioni politica-banca”. Un pensiero alato, per la serie “c’hai una faccia come il... “.

giovedì 24 gennaio 2013

Nick o’ mericano è santo e pure martire. Questa non è una nazione. È un manicomio.


In un paese normale, se un politico dicesse “Io so cose che voi umani manco immaginate”, cosa farebbe un giudice neppure troppo intelligente, se non convocarlo in procura e chiedergli “Mo’ me lo dici che cazzo sai?” Ma stiamo parlando di un paese normale e, quindi, non del nostro, dove la normalità è manganellare le suore al G8 di Genova e votare Berlusconi. Nick o’ mericano, di cose ne sa parecchie, ma tace. Per il padre (Silvio), per il partito (il Pdl), per la tenuta del paese (le discariche sul Vesuvio). È lui che ha salvato Silvio dalle famiglie inferocite di Noemi Letizia e Roberta Oronzo. È lui che le ha tacitate comprandone il silenzio e oggi, a Repubblica, dice: “Diciamo la verità, quelle due ragazze cos’erano a confronto di tutte... di tutto quello che è uscito dopo? Io le ho solamente tranquillizzate”. Nick esce fuori dall’intervista come un buon padre di famiglia tutto lavoro, partito, canonica e interessi per la collettività. Sembra un angelo caduto in volo (maledette citazioni canzonettare), un politico destinato a diventare “ex” fra una cinquantina di giorni e che, da ex, corre il rischio di finire dritto a Poggioreale. Ce l’ha con Silvio, con la sua “mutazione genetica”, con la sindrome da abbandono che l’ha colto in tarda età, solo per salvare il culo e posarlo sulla poltrona più alta di Palazzo Madama. Nessun cenno ai rapporti con la camorra, con lo smaltimento dei rifiuti tossici, con il riciclaggio di denaro sporco, con il voto di scambio, con la corruzione, concussione e i falsi dossier. Manca l’accattonaggio e lo sfruttamento della prostituzione “anche minorile”, e il quadro del perfetto criminale sarebbe perfetto. Invece Nick è un santo, prendiamone atto e incensiamolo. Santo e, ovviamente, martire.
È da un po’ che parliamo su questo blog dell’affaire Monte dei Paschi. L’ultima di poche ore fa, è che il ministro Grilli ha sferrato un attacco durissimo a Bankitalia dichiarando pubblicamente: “Il caso era noto da tempo. I controlli spettavano alla Banca d’Italia, perché non li ha effettuati?” Bella domanda, ministro. Il teorema dello scaricabarile funziona sempre alla grande, specie in Italia, dove per arrivare a stabilire di chi sia la colpa anzi, una colpa qualsiasi, occorrerebbe mettere cimici nei confessionali e nelle camere d’albergo. Resta il fatto che il crollo di MPS ha trascinato tutta Piazza Affari verso il segno negativo. Che oggi, all’apertura, il titolo è sceso di altri 5 punti. Che per salvare i finanzieri affamati di derivati tossici, il Professore è stato costretto a mettere l’Imu sulla prima casa. La responsabilità, per chi ancora non lo avesse capito, è degli italiani che pagano le tasse perché, siccome pagano le tasse, possono anche permettersi di pagare le cazzate di chi le tasse le evade. È un giro perverso e vorticoso di finanzieri d’accatto, di politici dementi, di statisti schizofrenici. L’Italia è diventata un immenso manicomio dove stazionano ancora quelli che si credono Napoleone Bonaparte, Masaniello, Giulio Cesare e perfino Gesù Cristo. Stavamo dimenticando il più grande di tutti: Fabrizio Corona.

mercoledì 23 gennaio 2013

Perché non votare Berlusconi né Monti? Lo dice l’Istat.

Guai a dar torto ai numeri. A meno che non si tratti dei bilanci del Monte Paschi, solitamente i numeri fotografano la realtà molto più delle parole. È uscito il rapporto “Noi Italia”, curato dall’Istat, che riassume la situazione del nostro paese a tutto il 2011. I dati sono terrificanti, degni non di una nazione in affanno, ma in stato di pre-agonia profonda. Vale la pena ricordare che nel 2011 governava Silvio, che il ministro dell’economia ufficiale era Giulio Tremonti, che quello ombra era un certo Renato Brunetta, e che erano esplosi gli scandali delle Cricche e delle P (a crescere: 34, 5). Dunque. Nel 2011, anno chiave del regno di Berlusconi III, i poveri “relativi” erano 8 milioni, quelli “assoluti” 3,4 milioni. Insieme fanno il 16,3 per cento delle famiglie italiane. Gli occupati erano il 61,2 per cento della popolazione attiva, e le donne il 49 per cento. I disoccupati a lunga percorrenza, quelli cioè rimasti senza lavoro per più di un anno, erano il 51 per cento, una cifra mai raggiunta nella storia della repubblica. A incrementare il numero dei poveri, hanno contribuito in maniera decisiva i tagli alla sanità che, nel 2011, impegnava solo il 7,1 per cento del Pil, una cifra inferiore a quella di quasi tutti i paesi europei. Senza lavoro o con lavori sottopagati e precari, nell’impossibilità di curarsi usufruendo del SSN, le famiglie si sono spesso dissanguate per integrare di tasca propria l’assistenza medica e sanitaria. Aumentato a dismisura il numero degli inattivi e di coloro che hanno messo di cercare lavoro o di studiare. La percentuale italiana è del 37,8 per cento della forza lavoro, seconda solo a... Malta. Questa è una delle ragioni degli abbandoni scolastici che, nel 2011, hanno toccato la cifra record del 18,2 per cento contro il 13,5 della media europea. Aumentati anche gli omicidi, i furti e le rapine, la pestilenza ambientale (1 italiano su 3 respira smog allo stato puro), le discariche dei rifiuti (compresi quelli tossici). Ma c’è un dato ancora più preoccupante di quelli già drammatici riportati: l’Italia è un paese vecchio. Per ogni 100 giovani ci sono 147 anziani, e la fregatura è che l’immigrazione, fonte principale di natalità, ha iniziato una lenta discesa (40 per cento in meno di ingressi nel 2011 rispetto al 2010) che smentisce in maniera eclatante la Lega e i cerebrolesi che ancora la votano. Sapete chi ci batte come numero di anziani? La Germania. Che i tedeschi trombassero poco lo sapevamo, ma non avremmo mai immaginato una debacle simile. L’uscita dei dati dell’Istat, ha provocato la immediata reazione del Codacons il quale, tramite il presidente Carlo Rienzi, ha fatto sapere che, dalle statistiche in loro possesso, la situazione terribile registrata nel 2011, è peggiorata nel 2012 e peggiorerà ancora nel 2013. A questo punto, non votare né per Silvio né per il Professore, non è più un scelta politica, ma solo di buon senso. C’è da aggiungere che la ridiscesa in campo di Silvio sta assumendo in queste ore contorni più definiti. Berlusconi non punta a vincere le elezioni (impossibile) ma a ottenere un pareggio al Senato sì. A quel punto, per assicurare all’Italia un minimo di governabilità, il Pd sarebbe costretto a scendere a patti con lui. La richiesta di Silvio è chiara: la presidenza del Senato e fanculo i processi Ruby, Mediaset e Unipol che puzzano terribilmente di tre condanne tre, senza sconti. Silvio sta aspettando con ansia i risultati dei sondaggi che ha commissionato subito dopo lo sbianchettamento dalle liste dei nomi degli impresentabili. Se dovesse salire ancora di più dei 6 punti delle ultime tre settimane, il pareggio al Senato non sarebbe più un miraggio e potrebbe tranquillamente dire, come ha già fatto: “Voglio tutelare il mio onore. Voglio uno scudo per mettermi al riparo da questa aggressione finale dei magistrati”. Frase che dimostra ancora una volta come, per Silvio, i bastardi siano i giudici e non chi commette reati. Interpretazione bizzarra, esattamente come la sua politica di affamatore degli italiani.

martedì 22 gennaio 2013

Candidati Pdl impresentabili. Dalla Liguria all'Abruzzo, passando per la Campania, è un vero e proprio delirio.

Non li vuole nessuno. I candidati del partitone delle libertà (loro) calati da Roma, vengono presi a pernacchie ovunque, anche dove il brand eduardiano era fino a ieri sconosciuto. Augusto Minzolini, alias il "direttorissimo", sbarca in Liguria e scoppia la rivolta. Il giornalista più indipendente degli ultimi 150 anni, vero fiore all'occhiello della libera informazione a senso unico, è stato accolto come un qualsiasi malfattore, causando una crisi di rigetto negli organismi politici provinciali e regionali della patria di Claudio Scajola, escluso volontariamente, e non a sua insaputa, dalle liste tutto pepe del Pdl
Il caso Abruzzo, invece, meriterebbe un'approfondita analisi politico-sociologica sfociante nella pura antropologia. Non si capisce se gli abruzzesi, secondo il Capataz, rappresentino una popolazione di dementi o di gente così, tanto al chilo, coperta con lana di pecora tutto l'anno, Natale e Pasqua compresi. Non si sa se la regione che si è ritrovata con due giunte in galera, un mare di inquisiti, una sanità a pezzi e scandali come piovesse, sia diventata una sorta di terra di conquista per disperati e malati da internare in un reparto psichiatrico. Come spiegare altrimenti la volontà di candidare in Abruzzo, tutti e due insieme, Totonno Razzi e Mimmuzzo Scilipoti? A livello culturale, messi insieme, valgono mezza sega. La levatura politica è praticamente inesistente, lo spessore umano paragonabile a quello di Cita, ma prima di iniziare la liaison con Tarzan. Scilipoti non è passato perché Gianni Chiodi, il Governatore del Club di Topolinia, ha minacciato le dimissioni. Razzi sì, è presente, e dalla sua regione natia si aspetta tanti bei voti per tornare a non fare un cazzo alla Camera. Certo che Di Pietro ne ha combinati di disastri, prima di imbarcarsi in un'altra avventura politica dalla fine incerta e dal cammino doloroso! Ma tant'è, evidentemente l'Abruzzo si merita Totonno e Mimmuzzo, il nuovo Duo di Campo Imperatore. Però diciamolo, il caso dei casi, il casus belli per eccellenza, è quello che si sta svolgendo in queste ore in Campania. Nick, detto "o' mericano", è stato fatto fuori dalle liste. Inseguito da due mandati di cattura, il povero Nick corre il rischio di ritrovarsi con il culo per terra, senza più nessuno scudo immunitario, e con la gente pronta a lanciargli le monetine, senza sapere però che se s'incazzano i Casalesi... Insomma, Nick è stato depennato e lui che fa? Si frega le liste elettorali firmate, costringendo i candidati campani a tornare precipitosamente a Napoli per rifirmare la documentazione daccapo. Nick si è incazzato di brutto. E, tanto per togliersi un sassolino dalla scarpa, ha detto ai giornalisti presenti alla sua conferenza stampa: "Come mai tante foto a un impresentabile?" Proprio vero che l'ironia partenopea è morta con Totò! Da parte sua Silvio, contrito e amareggiato, se n'è uscito con un'altra delle sue irrefrenabili amenità: "Per colpa dei giudici comunisti, ho perso un amico". Silvio non ha ancora capito che se uno è delinquente, la colpa non è dei giudici ma del fatto che ha commesso dei reati. A meno che, la sola amicizia con Berlusconi, non sia sufficiente a sbianchettare la fedina penale e bruciare (per autocombustione) il casellario giudiziario.

lunedì 21 gennaio 2013

Silvio candida il Direttorissimo e chiede a Cosentino di farsi da parte. I casalesi minacciano lo sciopero del voto. Anche Monti piange, sarà lo stress.

Come la nostra amica casalinga di Abbiategrasso, traviata dalle soap, anche il Professore, ieri, ha dimostrato di avere un’anima. Tutta la profonda spiritualità della quale è in possesso, è emersa, come accade a tutti i nonni, quando ha nominato i nipoti. L’esecutivo di Mario Monti dimostra, così, di avere una sensibilità fuori dal comune, piangono tutti citando qualsiasi cosa: i sacrifici, la povertà, i malati di Sla, i terremotati dell’Aquila, gli alluvionati toscani, i pensionati al minimo costretti ad aprire il conto corrente in banca, i cassintegrati di Marchionne, gli esodati, che la Fornero non ha ancora capito quanti sono. Piangono per i manganelli dei poliziotti, finiti non si sa come sulle teste di diciottenni imperbi, spesso fracassandosi e per i No-Tav che passano notti intere ululando alla luna. Piangeva Silvio e piange Mario, le lacrime uniscono usi, costumi, popoli e intelligenze e offrono un’immagine di umanità che, alla fine, finisce sempre per colpire. Nel caso del Professore i nonni, in quello di Silvio, gli italiani reduci dal suo personale ventennio di comando. Non è un caso che chi dovrebbe piangere sul serio, non lo fa. È solo una stupida questione di dignità, anche se chi non piange, pur trovandosi nelle condizioni di farlo, non si candiderebbe mai, né alla Camera né al Senato. A proposito del Professore. È passata quasi sotto silenzio, la storia del salvataggio del Monte Paschi, costato agli italiani 4 miliardi e mezzo di euro. Ricapitalizzata, la banca vale oggi sul mercato 2 miliardi e mezzo di euro. Ma che cazzo di affari fa Monti? Non vi sorge il dubbio che al ministero dell’Economia starebbe meglio Mustafà di Porta Portese? Silvio, il competitor in rimonta, ha detto chiaro e tondo che il Pdl ha intrapreso una via giustizialista che non lo convince affatto. Ma che, per il bene del partito (e della sua personale rendita di posizione), si trova costretto a condividerla. Il messaggio nei confronti di Cosentino, Papa, Milanese, Dell’Utri, Scajola, Verdini e compagnia cantando, è chiarissimo. “Cari fratelli di Loggia, i tempi sono bui e l’unica soluzione per potervela cavare ancora è che io vinca le elezioni. Siccome quei bastardi senza gloria del Pd hanno buttato fuori dalle loro liste gli impresentabili, pur amandovi alla follia, non mi posso permettere di imbarcarvi in questa settima avventura. Anche il Padreterno, il settimo giorno si è riposato, io non posso ma, almeno, non complicatemi la vita. Per cui, candido Augusto Minzolini, illibato con un giglio, puro come una colomba bianca in crisi di piccione, e grande comunicatore del nulla, proprio come me”. In attesa della sentenza che potrebbe portarlo direttamente in galera, senza passare dal via, quel gran pezzo di brav’uomo di Marcello Dell’Utri, ha preso atto che perfino nel partito che ha contribuito a fondare, l’aria si è fatta pesante. Indeciso se trasferirsi definitivamente a Palermo, dove conta su amici potenti, o rileggersi per l’ennesima volta i diari tarocchi di Mussolini, Marcellino sta, come le foglie, sugli alberi d’autunno. 

sabato 19 gennaio 2013

L'Italia vista da fuori. Silvio e le liste. Sciacalli e iene, e Ingroia dice no a Bersani. Ancora un maledetto giorno uguale agli altri.


Anche se sei un giornalista accreditato, da queste parti basta la parola “giornalista” per essere guardato in un certo modo. Fieri del nostro badge ce lo siamo tolto dopo 10 minuti. Non si sa mai. C'è venuto un attacco di curiosità e abbiamo chiesto se anche in Slovacchia valesse il teorema berlusconiano sulla stampa di sinistra. “Quello di Berlusconi no – ci hanno risposto – piuttosto quello di Putin”. Meglio, perciò, far finta di nulla e, fischiettando, avviarci verso il palco della mega inaugurazione dell'anno europeo della cultura mischiandoci fra la folla. Prima, però, in sala stampa, avevamo dato un'occhiata ai titoli dei giornali italiani. Chissà perché uno spera sempre in notizie positive, perché per quelle belle occorreranno anni. Veniamo così a sapere che non erano solo gli sciacalli ricostruttori a gioire per il terremoto dell'Aquila, ma perfino la neo prefetta, la dottoressa Giovanna Iurato, aveva finto commozione andando a compiere la doverosa visita pastorale alla Casa dello Studente. Gente strana, i prefetti, piangono per dovere e bastonano i preti anti-amianto. Ma che scuola di specializzazione frequentano, la Bocconi PA (Pubblica Amministrazione)? Abbiamo anche letto, con un minimo di sollazzo antigelo, dei dubbi atroci che stanno tormentando Silvio alla vigilia della presentazione delle liste. Il fatto è che quei birichini dei giudici comunisti, proprio in questo periodo stanno tirando le conclusioni di processi che vanno avanti da anni. Così, ieri, la tegola Dell'Utri e la richiesta di sette anni di carcere (non in Tibet ma a San Vittore), oggi la rivolta dei pidiellini campani che si sono accorti, con sgomento, che le loro liste erano piene di mariuoli e hanno chiesto di non ricandidare almeno Cosentino. Poi, a tarda sera, la rivolta di Scajola che non intende essere esaminato dai saggi del partito per l'inserimento in lista. “Sono un uomo di specchiata moralità”, ha detto il golpista del G8 di Genova. Magari lo è, ma a sua insaputa. Antonio Ingroia ha detto il “no” finale a Bersani. Nessuna alleanza, né prima né dopo, né la tanto desiderata desistenza. Ognuno per i fatti propri e dio per tutti. Chi congola è il solito Pierfy che, da buon pappagallo, stavolta si è piazzato sulla spalla di Mario Monti e guai a chi lo sposta da lì. Sapete che c'è? Meglio un sano hipoppista, magari slovacco.

venerdì 18 gennaio 2013

Quel vago profumo di socialismo e la cassata di Berlusconi. Erano 11 chili, mica pifferi!

Il fatto è che ci troviamo in un posto dove si “respira ancora il profumo di socialismo”. Ad affermarlo non siamo noi cosiddetti occidentali, catapultati in una città dove spira un vento (dicono) famosissimo per la sua glaciale violenza, ma alcuni degli autoctoni, con i quali stiamo condividendo le ore che precedono la cerimonia di inaugurazione di Capitale Europea della Cultura (con Marsiglia) 2013. Košice è una città della Repubblica Slovacca di quasi 250mila abitanti, nella quale i tratti urbanistico-architettonici sono ancora quelli del socialismo che fu, quello “reale”. Sono stati imbrattati da Lidl e da Ikea, dal Cane a sei zampe più famoso del mondo e dalle boutique delle grandi firme della moda internazionale. Si è riempita di centri commerciali con Euronics e MacStore inclusi ma, ormai, tutta l'Europa è un solo grande paese di capitalisti e finanzieri d'assalto, dove a ogni angolo trovi una banca e dietro quella banca, un'altra banca. Noi dormiamo davanti alla sede di Unicredit, speriamo che a nessuno venga in mente di scassinarla perché, specie di notte, il vento di Košice, sempre quello famoso per la sua glaciale violenza, è un'ottima compagnia, dei colpi di pistola e delle sirene della polizia faremmo volentieri a meno. In questo contesto un po' surreale e un po' no, dove si respira il profumo del socialismo e l'olezzo dei nuovi ricchi, andando a letto con le galline, capita di vedersi in streaming Servizio Pubblico. Così come capita che, per attendere un'ora decente prima di infilarsi sotto il piumone, uno sfogli i giornali italiani online. Ed eccolo Marcello Dell'Utri per il quale, il procuratore generale Luigi Patronaggio, ha chiesto la condanna a sette anni di carcere, per “concorso esterno in associazione mafiosa”. Nulla che non si sapesse già, e richiesta rinviata di qualche mese dopo che la Cassazione aveva annullato il verdetto di secondo grado per un “difetto di motivazione”. Ma sapete qual è la notizia che ci ha colpito di più? La mafiosità di Dell'Utri? Quando mai! No. Il fatto che il boss Gaetano Cinà, per il Natale del 1986, abbia inviato a Silvio Berlusconi una cassata di 11 chili con la scritta Canale5. Che diavolo ci abbia fatto Silvio con 11 chili di cassata siciliana non si sa, però, quello che conta, è stato il gesto. O no? Ed è la Sicilia a tenere ancora banco, perché c'è stato (clamoroso quanto inaspettato), il passo indietro del Pd e di Bersani, sulle candidature “eccellenti” dell'isola. I chiacchieratissimi senatori uscenti, Crisafulli e Papania, non sono stati ricandidati. L'Etna ha iniziato a borbottare, e quello che si prevede nelle prossime ore, è un vero e proprio terremoto ai vertici del partito. In compenso, Piergigi ha preferito tenersi buoni i ricchi, per la serie “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Ha detto chiaro e tondo che lui la “patrimoniale” non la introdurrà mai, andando contro perfino Flavio Briatore, che della tassa sui patrimoni è un fervente sostenitore. Non commentiamo l'ultima uscita di Beppe Grillo sui sindacati da abolire. Ormai Beppe, pur di far parlare di sé, sarebbe disposto ad affermare di essere la reincarnazione di Giovanni Dalle Bande Nere. Staccando per un momento gli occhi e le antenne dall'Italia, continueremo per le prossime ore a respirare il profumo di socialismo. E a immaginare che, all'improvviso, il Mega Center Ikea si trasformi nel “Супермаркет народа Lenin”. до свидания.

giovedì 17 gennaio 2013

E poi uno dice che va in giro per culture...


Meno male che è Vienna
Un po' di luce dopo Bratislava
Finalmente Kosice. Freddo polare ma, Capitale Europea (con Marsiglia) della Cultura 2013



  










mercoledì 16 gennaio 2013

Ci sentiamo lunedì...


Incontenibile Silvio. Ogni giorno ne inventa una. Il PPE lo scarica e Draghi gli risponde “niet”.

Tanto parla, e sproloquia Silvio, quanto tace Bersani che non si sa che fine abbia fatto. Piergigi sembra scomparso. Dopo l’overdose radiotelevisiva delle primarie, pare si sia ritirato a Camaldoli, dove i frati fanno ancora un ottimo amaro. Bersani non parla, sillaba. Preferisce che siano Monti e Berlusconi a combattere, a duellare, a offendersi in continuazione, a contendersi i voti dei moderati e dei cattolici indecisi se seguire le indicazioni di SS. Madre Chiesa o scegliere ancora una volta Belzebù. Memore delle gioiose armate, finite a inseguire Brancaleone alle crociate perse, il segretario del Pd tace piuttosto che dire puttanate, si è silenziato da solo, in attesa dei confronti televisivi veri, quelli con i candidati premier e non con i capi dei raggruppamenti. Silvio invece, furoreggia. Spunta dappertutto. Si traveste da melanzana e va alla Prova del cuoco. Assume le sembianze del tortellino e fa visita a Benedetta Parodi. Si finge malato di prostata ed eccolo a Medicina 33. Monti fatica non poco a stargli dietro, il Professore ha un passo diverso, uno scilinguagnolo diverso, un modo di porsi mai sopra le righe per cui, anche quando da del “pifferaio” a Silvio, lo fa sussurrando, mai urlando. I competitor del centro sono loro, visto che i gentiluomini di Casa Pound, hanno fatto sapere che loro con Monti non c’entrano una mazza e che, dopo anni di tradimento degli ideali della destra, schifano anche Gnazio e Giorgia. Magari un flirt con Beppe Grillo, così caldo e accogliente, ma né Monti Silvio rientrano nei loro indici di gradimento. A parte il Professore e Silvio, il resto sembra flanella, roba da ex salotti buoni coperti da un velo di polvere che la Storia ha depositato non potendo farne a meno. Ascoltare Fini e Tremonti, che teorizzano ancora l’importanza della loro presenza in politica, ci fa una tristezza della madonna, ci incupisce, ma ci fa anche un po’ paura. “Possibile – dice la nostra amica casalinga di Abbiategrasso – ancora loro?” Già, ancora loro, immoti, tinti, finti come una statua di Madame Tussauds, abbarbicati alle mura di Montecitorio e di Palazzo Madama come una qualsiasi piantina di gramigna. E ci fa paura anche il presunto nuovo che avanza perché, comunque, il repertorio di questo “nuovo” nasce già vecchio, figlio com’è del vetusto modo di condurre le questioni della politica, che sta massacrando un paese bisognoso di ripartire dalle fondamenta, dall’abc delle regole di convivenza civile. A Silvio questi ragionamenti non fanno né caldo né freddo. Se n’è accorto il PPE che lo ha proditoriamente mollato, preferendogli la flanella azzimata dell’ex rettore della Bocconi, e perfino il governatore della BCE, Mario Draghi, al quale Silvio ha offerto nientemeno che la poltrona quirinalizia così, d’un botto, senza pensarci due volte. Il buon Mario Draghi lo ha gelato immediatamente con un “È impossibile”, risuonato a Palazzo Grazioli come un de profundis senza appello e definitivo. Nel frattempo, il Viminale ha fatto secche tutte le liste civette e rimandato a settembre quella della Lega. “Troppi nomi. Lista non chiara”, hanno detto i tecnici degli Interni. I leghisti, guidati da quel volpino che si chiama Roberto Calderoli, hanno infatti presentato una lista sulla quale spicca il nome di Bobo Maroni e, più piccolo, quello di Giulio Tremonti candidato premier. Fino alla fine sono stati indecisi se inserire anche quello di Umberto Bossi (Fondatore del partito, come Gramsci lo fu dell’Unità), e di Gianfranco Miglio (Teorico del Federalismo, come un Carlo Cattaneo qualunque). Ma da gente che non sa neppure come si presenta una lista, il Nord che si aspetta, la rivoluzione?

martedì 15 gennaio 2013

Monti: “Berlusconi è un pifferaio magico”. Silvio: “Monti è un leaderino sotto choc. Vuole tassarmi anche il piffero”.

Addio aplomb. Che Silvio ne fosse strutturalmente sprovvisto lo sapevano tutti, a sorprendere, invece, è il Professore, che usa le parole come clave, e l’inglese per offendere (scuola Fornero). Fra i due è guerra aperta perché, tutto sommato, si rivolgono allo stesso elettorato di centro. A parte qualche pirla del Pd (le liste siciliane ne sono piene), un elettore di sinistra non voterebbe mai né per Silvio né per Monti. Al contrario, un elettore di centro potrebbe avere il dubbio su dove far fluttuare la matita copiativa, nel segreto dell’urna, prima di apporre il suo prezioso sigillo su un simbolo. Chi si sarebbe mai aspettato che l’algido Professore apostrofasse il suo ex mentore politico chiamandolo “Vecchio illusionista ringalluzzito”, che manco a Porta Portese? Che poi Silvio gli abbia risposto, “Monti vuole tassarmi anche il piffero”, rientra invece nelle regole del gioco e del lessico berlusconiano. A pensarci bene, l’idea di tassare il piffero di Silvio non è così peregrina. Considerato che l’uso che ne fa (beato lui!), 500 euro a botta sarebbero un’entrata fiscale niente male, un imponibile dal quale detrarre ovviamente il costo delle Scapagnini Pill’s, e l’eventuale busta paga di fine mese, divisa per 30. Silvio, che ha definito “una mascalzonata” la gestione dello spread da parte del Professore, è tornato ad attaccarlo soprattutto sulla linea di rigore che intende adottare per i pagamenti in contanti e per il redditometro. Non ci sta proprio che non si possano pagare in contanti 1000 euro e che ci si debba fermare a 999, e non ci sta sul nuovo redditometro che, secondo lui, disincentiverebbe gli italiani dall’effettuare qualsiasi acquisto, dalle case ai tablet, dai fuoribordo allo champagne. Monti, da parte sua, è tornato sui temi di sempre. “Berlusconi è stato una iattura, è impresentabile all’estero, ha aumentato l’imponibile fiscale, l’idea dell’Imu è sua e poi - chiosa il Professore - non ha tempo per governare, impegnato com’è a trombare a tutte le latitudini, mentre per le longitudini si sta attrezzando”. Lo strabordante Silvio, che non ha rinunciato a mettere il “Berlusconi presidente” sul simbolo elettorale, facendo incazzare Bobo Maroni, che ha precisato “del Pdl”, forte dei sondaggi che danno Monti al pari di Casini e di Fini, sa che questo è il momento per affondare i colpi contro il Professore. Sa che strappargli voti è indispensabile per correre, da vincente, al Senato e sa, soprattutto, che Monti è un osso duro che risponde parola su parola ai suoi attacchi, facendosi forte del ruolo di premier che ancora gli appartiene. È dai tempi di Bettino Craxi che un presidente del consiglio non scende così pesantemente in campo, per molti aspetti non lo ha fatto neppure Silvio, Monti invece lo fa, e il suo atteggiamento ci sembra un moto dell’animo vicinissimo alla disperazione. Sul versante della sinistra, c’è da registrare il veto di Enrico Letta a Dario Franceschini, per continuare il dialogo con Antonio Ingroia. Ma veto o non veto, non si capisce per quale motivo l’ex pm dovrebbe “desistere” dal presentare liste proprie al senato, in Campania e in Sicilia. Il Pd, seguendo quella parte di dna democristiano sempre più preponderante, sta candidando impresentabili. Da concussori ad accusati di abuso d’ufficio, da protagonisti di voto di scambio a favoreggiatori di conflitti d’interesse, le liste del Pd in Sicilia sembrano un variegato campionario di mammasantissima in politica. Almeno Miccichè ci ha messo direttamente i condannati (in primo grado).

lunedì 14 gennaio 2013

Italia ingovernabile. Ecco ciò che vogliono tutti coloro che tentano di salvarla. Con Pierfy in pole-position.

Diciamolo, c’è voluto del tempo, ma alla fine Bersani ce l’ha fatta a capire Pierferdinando Casini o “Pier”, come lo chiama amabilmente lui. Vedete, cari amici e lettori, la nostra campagna contro il Pierfy “cocorito” di Forlani, è paragonabile solo a quella che, da anni, andiamo conducendo contro Berlusconi. La differenza fra i due è che Pierfy non ha le tv, altrimenti... L’orfano del CAF, ammogliato in seconde nozze Caltagirone, sta alla sinistra come un vampiro alla luce del sole: se lo guarda un po’ si squaglia. Per Casini, la sinistra è il male assoluto, ancora troppo legata al bolscevismo per permetterle di applicare quattro elementari regole di convivenza civile. Per due decenni, il Pierfy è andato mignotteggiando di qua e di qua senza apparentemente nessun senso, mentre un senso lo aveva. Si è tirato fuori dal berlusconismo quando si è reso conto di non contare un cazzo, svolgendo un’opposizione a tariffa fissa, che lo ha portato a votare molte delle leggi volute da Silvio. Poi, preso atto che il camerata Berlusconi volgeva all’occaso, ha iniziato, in silenzio, a frequentare le osterie con Piergigi Bersani, dove lo ricordano perché puliva maniacalmente le posate prima di mangiare. Noto frequentatore di salotti buoni, merito anche di un suocero “di peso”, le trattorie non sono mai state il suo ideale ma, per il bene della nazione, si è sottoposto anche a questo immenso sacrificio. Con Bersani ha tentato l’opera di demolizione a sinistra. Il suo obiettivo è stato quello di isolare prima l’Idv (riuscendoci per merito suo e per colpa di Di Pietro) e poi Sel, sbattendo però contro quel muro chiamato Nichi Vendola che mastica di politica quasi quanto lui. Non cavando fuori un ragno fuori dal buco, nel momento in cui Silvio si è dimesso, ha colto al volo l’occasione offertagli dal Presidente della Repubblica, l’unico comunista con il quale fa volentieri colazione, ma solo perché è potente, e ha abbracciato orgasmaticamente Mario Monti, ergendolo a paladino della nuova Italia. Ma sapete qual è il motto di Casini oggi? “Il nuovo siamo noi”, e questo la dice lunga su come siamo messi. Casini vuole, in questa fase, un’Italia ingovernabile. A lui sta benissimo che il Pd abbia la maggioranza alla Camera e il Pdl al Senato. Si sta battendo con tutte le sue forze perché questo avvenga e per avviare, ancora una volta, l’Italia, sulla strada delle grosse koalition, dove lui, il Pierfy, da ago delle bilancia centrista, sa di poter contare e pure parecchio. Il fatto è che Silvio sta recuperando posizioni su posizioni e che, nonostante la minestra riscaldata dell’alleanza con la Lega, punta decisamente alla maggioranza al Senato, alleandosi appunto con la Lega al Nord (Lombardia e Veneto), con i fiancheggiatori della camorra in Campania e con Miccichè e il Movimento delle Autonomie di Lombardo (che si sono riappacificati) in Sicilia. Del resto dell’Italia a Silvio non frega una mazza. Quattro sono le regioni fondamentali, e su quelle quattro regioni sta puntando tutto. Il Pd lo sa. Bersani lo sa. E non è un caso che ieri abbia detto di Casini: “Pier vuole comandare pur non avendo voti”, sancendo in maniera definitiva che l’unico, vero, democristiano doroteo rimasto in vita, è proprio il Pierfy. Il problema per il Pd, a questo punto, si chiama Antonio Ingroia. I sondaggi dicono che l’ex pm porterà via voti alla sinistra, soprattutto in Sicilia e in Campania che, non a caso, sono due delle quattro regioni cardine per la maggioranza al Senato. In queste ore, Dario Franceschini sta tentando di convincere Ingroia a non presentare liste almeno in quelle regioni ma, le esperienze negative del passato con Rifondazione Comunista, non depongono a favore della "desistenza". Alla fine, cari amici lettori, vedrete che tutti quelli che scendono in campo per la salvezza dell’Italia, punteranno decisamente a renderla ingovernabile per tentare di portare a casa, fino all’età della pensione, il pane e il companatico. 

domenica 13 gennaio 2013

Dopo il ko a Santoro, Silvio ri-punta al Quirinale. In questo paese il male diventa il bene. Chiedetelo a Saviano, please...

Lascia sconcertati lo striscione anti-Saviano che campeggiava di fronte al tavolo della presidenza della municipalità di Scampia. Il tema in questione era il “no” alle riprese della fiction televisiva “Gomorra”, ma l’iniziativa promossa da un certo Alfredo Giacometti del Movimento Lavoratori Italiani e dal presidente della municipalità, Angelo Pisani, si è trasformata in una sorta di referendum su Roberto Saviano colpevole, a loro dire, di aver “imbrattato” l’immagine di Scampia. Ora, a parte il fatto che quel quartiere-città-fortilizio lo conosciamo molto bene, e possiamo assicurarvi che la colpa di ciò che è, non è imputabile a Saviano, sconvolge che chi combatte la camorra diventa improvvisamente il male, e se chi combatte la camorra è il male, la camorra cos’è se non il bene? Sembra un calembour, ma non lo è. È il modo ormai stranoto dei fiancheggiatori delle mafie, di gettar fango su chi prova a contrastarli. Ricordate Totò Cuffaro? “La mafia esiste perché l’ha creata l’Anti-mafia”, disse al Maurizio Costanzo Show. E quindi, se la mafia esisteva, la colpa era di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone che la combattevano. Facili e scontate le assonanze con il verbo di Silvio: “se esistono gli evasori fiscali è perché le tasse sono troppo alte”; “se la magistratura è un problema, la colpa è dei giudici”; “se gli uomini pagano le donne è perché le donne che gliela danno, vogliono essere pagate”. L’abilità dei berluschini nel rigirare la frittata pro domo loro, è quasi pari a quella di Brunetta nel dare alla Germania la colpa della crisi in Italia: inverosimile. Ma tutto questo non è servito alla premiata ditta Santoro&Co. per stanarlo tanto che, ancora ieri, i fans del Cavaliere facevano la fila davanti Palazzo Grazioli, per complimentarsi con lui per la vittoria (un ko tecnico alla decima ripresa) a Servizio Pubblico. Secondo le chiavi di lettura dei destri, insomma, Silvio ha stravinto il confronto televisivo con il suo nemico giurato, che non è riuscito a smascherarlo manco un po’. Alla fine, rivelatrice di quanto accaduto da Santoro giovedì sera, è la vignetta di Vauro nella quale sia lui, che il conduttore, apparivano contagiati dai nei di Vespa. Il passaggio da Santoro ha ringalluzzito Silvio come e quanto una overdose di Scapagnini Pill's. Gli ha ridato una fiducia nuova e la consapevolezza che, ebbene sì, il Quirinale non è poi così lontano. Il ragionamento di Silvio è semplice. “C’è la possibilità – dice lui – che alle elezioni, il Pdl e la Lega riescano ad avere la maggioranza al Senato. L’Ohio-Lombardia è con me. A quel punto il Pd sarebbe il padrone della Camera e noi del Senato, con Monti fuori dai giochi. A Bersani, una eventuale alleanza con il Professore non servirebbe a niente, se non a cedergli la presidenza del Consiglio senza peraltro risolvere il problema della nostra maggioranza al Senato. Allora, con chi conviene allearsi a Bersani se non con me? Sarebbe un patto contro natura, è vero, però lui potrebbe fare il Premier e io il Presidente della Repubblica e fanculo, per l’eternità, i miei carichi pendenti, i miei processi, le quasi sicure condanne”. Per onor di cronaca, va detto che su Silvio pendono tre verdetti al 99 per cento di colpevolezza: il processo Ruby, quello Unipol-Bnl e quello dei Diritti tv. L’unico modo che ha per non dissanguarsi ancora in appelli e parcelle milionarie agli avvocati, è assicurarsi l’impunità assoluta, almeno dal punto di vista politico. Quale soluzione migliore del Quirinale? Sette anni di immunità e poi senatore a vita. La svolta definitiva del passaggio di Silvio sulla terra. Andateci cauti con le risate. A noi, da ridere, non viene affatto.